Il gravel non esiste!

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Ma davvero? Oibò, per essere qualcosa che non esiste io lo trovo in gran forma.

Vi ho detto l’altro giorno che ho utilizzato l’occasione del Grinduro Italia 2024 (anche) per osservare questo nostro mondo a pedali sfruttando la folta presenza internazionale, ché incontrare culture diverse sempre arricchisce, altro che arroccarsi a difendere confini.

Stavolta non mi interessavano le bici o le scelte tecniche: mi interessavano i ciclisti.

D’accordo, il Grinduro è particolare, con la sua formula che coniuga bici e socialità, agonismo e goliardia e forse se avessi scelto un evento diverso, più orientato alla competizione, ne avrei tratto pensieri differenti.

Ma lasciamo da parte la festa, la musica, i tattoo e le salsicce a sfrigolare e guardiamo solo i ciclisti che pedalano tra i suggestivi scenari della campagna toscana; che effettivamente ci mette molto del suo a farti trovare il buon umore.

Scorrendo le immagini del fotografo ufficiale, i crediti a fondo pagina, una mi ha colpito. L’ho usata per la copertina, ve la ripropongo qui a dimensione reale, basta cliccarci sopra per aprirla a tutto schermo.

E’ stata scattata quasi in cima a un breve strappo, non troppo impegnativo ma reso antipatico da un forte vento contrario e dalle tante pietre aguzze da scansare. 

Se è vero che una immagine vale più di mille parole, allora dovrei fermarmi qui; perché basta lei, che potrei aggiungere?

La gioia, il divertimento, il gusto, la libertà, c’è tutto in quel sorriso. C’è tutto il bello dell’andare in bici senza costrizioni, steccati ideologici o di specialità, classifiche o tempi.

C’è la gioia di esserci.

Ora uno dirà: bella forza, lo fai pure con la Mtb o, in altro contesto, su strada. Vero, ma qui non è più questione di bici, di gravel o non gravel: qui è questione di stato d’animo.

Non ditemi per favore che in una Gran Fondo vedi pedalare con questo sorriso, dai…

Ah, però lì è una gara, qui no!

Va bene, accetto l’obiezione: quanti ne vedete di ingrugniti nell’uscita della domenica? Appunto…

Però.

Però in qualche modo la bici c’entra, è come se la gravel portasse con sé la voglia di divertirsi e basta, di essere felice sui pedali senza altri pensieri.

O forse attira di più i ciclisti che pur amando la guida sportiva godono davvero quando possono lanciarsi in una bella zingarata sui pedali, senz’altro scopo che andare a zonzo, gustarsi la natura, sfidare solo se stessi.

Che sia la bici ad attirare il ciclista o viceversa, resta il fatto, sotto gli occhi di tutti, che il gravel non solo esiste ma è più vivo e gagliardo che mai.

Definirlo non mi interessa, anzi lo trovo un controsenso. Perché il suo fascino sta proprio nel fatto che non lo racchiudi nei soliti recinti delle specializzazioni. Ognuno lo vive come meglio crede.

E questa linea di pensiero ci porta ad altro argomento: nel gravel nulla serve davvero, tutto fa comodo. Ma di questo parleremo una altra volta.

No, resto su ciò che ho visto e vissuto nei giorni del Grinduro.

Vedere tante persone così diverse per età, sesso, ceto, nazionalità, gusti accumunate dall’identico sorriso, dallo stesso entusiasmo, pervasi dalla stessa gioia di essere in bici mi ha fatto annotare e poi riflettere che, non saltate dalla sedia, il gravel non è moda degli ultimi tempi: è il ritorno alle origini dell’andare in bici.

Me ne ero reso conto anche l’anno scorso, sempre al Grinduro, e lo scrissi.

In quell’articolo citai un episodio: “nel romanzo La ragazza perduta” di D.H. Lawrence c’è un passaggio in cui il futuro marito della protagonista Alvina sceglie di rientrare in bici piuttosto che in treno. Una trentina di miglia, forse più, nei paesaggi minerari della Scozia di inizio ‘900. Sta facendo gravel? Oggi diremmo di si, oltre un secolo fa stava semplicemente andando in bici.”

Si dirà cause di forza maggiore, non c’era l’asfalto, ovvio pedalare su strade bianche o acciottolati. Però non c’erano nemmeno le bici da gravel, c’erano le bici e basta (e pesavano un botto) eppure era tutto un fiorire di club, associazioni, semplici gruppi di uomini e donne che la domenica inforcavano la bici e andavano, accompagnati solo dal cestino del picnic e dalla voglia di libertà.

Un ciclismo vissuto dall’altra metà del cielo come emancipazione, date una occhiata agli articoli in questa sezione (che devo riprendere appena ho tempo) e vedrete come l’arte seppe cristallizzare questa ansia di autonomia e libertà tra la fine dell’800 e i primi del 900.

Mi dicono quelli bravi che il gravel è inclusivo. E questo spiegherebbe tutto.

Ma perché inclusivo, cosa lo rende tale? 

Ai giorni nostri non abbiamo più tonache che si scagliano dal pulpito contro le donne in bici perché ritenute immorali; o imbalsamati studiosi preoccupati che la bici possa nuocere alla fertilità o, peggio, deviare le fanciulle con pensieri impuri giacché il sellino preme dove la vita nasce. O almeno non abbiamo noi in Occidente, in Afghanistan la bici alle donne è vietata; anche parlare e studiare.

Ma più di ogni altra disciplina, il gravel attira l’altra metà del cielo.

Che sia lo spirito meno competitivo? Meno testosterone nell’aria? Meno ansia da prestazione? Non lo so, avrei voluto chiederlo, anzi avrei dovuto chiederlo.

Ma credetemi, è stata una gioia vedere così tante donne pedalare, sorridenti sempre, concentrate quando serve, sconfitte mai.

Nessuna si è posta il problema di scendere di sella per superare quella difficoltà, nessuna ha sbeffeggiato chi scendeva di sella, tutte hanno pedalato felici.

Più passa il tempo e il gravel si espande più mi rendo conto della futilità del (provare a) definirlo.

E’ un modo di vivere e pensare, di agire e pedalare, capace di accogliere tutti perché nessuno si sente escluso.

Il gravel non né buono né cattivo: parafrasando Tolkien, se c’è qualcosa di sbagliato è perché l’hai portato con te.

Buone pedalate.

Ps: aggiungo il video, a questo link.

credit photo

@Grinduro

Credit photo Erwin Sikkens

Instagram Erwin Sikkens .com

COMMENTS

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    La prima foto, che è anche la foto di copertina, è quella di Massarotto Giuliana. Pratica il ciclismo a 360 gadi e a livello amatoriale ha fatto di tutto vincendo molto sopratutto nelle 24 ore. Quel sorriso è stampato sul suo viso e riesce a mantenerlo anche sulla più dura delle salite.

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