Grinduro 2024, pensieri in ordine sparso

Chiusa l’avventura della seconda edizione del Grinduro Italia mi prendo del tempo per (provare a) mettere ordine tra le decine di note prese al volo.
Questo è un primo intervento, ho sfruttato il Grinduro anche per osservare, studiare, capire. E’ un evento internazionale e a partecipazione internazionale. Foltissima la rappresentanza femminile.
Insomma, star lì mi ha permesso in pochi giorni di avere un quadro ben più ampio, con spunti che meritano ulteriori riflessioni. Che arriveranno ma con calma.
Qui vi propongo alcuni spunti, riflessioni, idee che riprenderò.
E prima che me ne dimentico: quasi tutte le immagini sono frutto dell’eccellente lavoro del fotografo ufficiale, che tra l’altro pedalava come un missile con tutta l’attrezzattura in spalla.
Quindi a lui i credit per le immagini.
@Grinduro
Credit photo Erwin Sikkens
Instagram Erwin Sikkens .com
Cos’è il Grinduro
Grinduro è una manifestazione transcontinentale che quest’anno ha toccato e toccherà tre continenti: America, Europa e Asia.
La formula è semplice quanto indovinata: un prologo il venerdì, due percorsi il sabato (lungo e corto, per semplicità), classifica generata solo sui tempi di alcuni tratti del lungo, così che durante il percorso ognuno possa godersi la pedalata come meglio crede. La domenica un giro turistico (ma non troppo…) a chiudere le giornate in sella.
Ma non solo, l’aspetto “sociale” è altrettanto importante. Il sabato soprattutto, con stand, cibo, festa e tanta musica la sera.
Insomma, il perfetto connubio tra coinvolgenti pedalate e giusta spensieratezza.
L’anno scorso la tappa italiana si svolse a Punta Ala, in un bel resort sul mare. Erano i primi di settembre, il clima ancora estivo (pure troppo per me…), ebbi la fortuna di gustarmi sia la nuova Wilier Adlar che la nuova trasmissione Shimano GRX 1x12v, mi diedi abbastanza da fare per “coprire” sia l’evento che il press camp Shimano a precedere il Grinduro e alla fine tornai a casa felice.
Quest’anno son cambiate alcune cose, perché mai sedersi sugli allori.
Son cambiati location e periodo. Sempre Toscana ma stavolta qualche chilometro a NE, ai piedi di Massa Marittima con campo base al Bike Hotel Massa Vecchia, vero paradiso per gli amanti della bici. Sempre settembre ma l’ultimo fine settimana.
E’ cambiata la formula di iscrizione, che per quest’anno ha visto aggiungere l’opzione giornaliera, dedicata a chi volesse godersi il sabato perché magari impossibilitato a star fuori diversi giorni.
E’ ovviamente cambiato il percorso, molto orientato al fuoristrada ma non proibitivo.
Non è cambiata la cornice fatta di bici, divertimento, birra, musica e chiacchierate.
Cosa mi è piaciuto e cosa no
In realtà mi è piaciuto tutto, però tutto è migliorabile.
Mi è piaciuto il percorso, tecnico ma senza strafare. Percorrerlo più o meno velocemente è stata scelta personale, tranne ovviamente i tratti cronometrati utili a stilare le molte classifiche finali. A rovinare la bellezza di alcuni settori la pioggia caduta copiosa nei giorni precedenti ma questo nulla toglie all’ottima selezione operata dagli organizzatori.
Mi è piaciuta l’organizzazione, coi molti volontari lungo il percorso a segnalare svolte o tratti pericolosi ché implicavano alcuni attraversamenti stradali.
Mi sono piaciute le zone di sosta, pronte a rifocillare i ciclisti.
Mi è piaciuto il paddock, nella suggestiva cornice del Massa Vecchia Bike Hotel.
Mi è piaciuta la nuova formula con l’opzione dell’iscrizione giornaliera, abbatte i costi per chi è vicino o non può star fuori troppi giorni.
Mi è piaciuto vedere all’opera i meccanici Shimano pronti ad aiutare tutti, senza star lì a cavillare se la bici montasse gruppi della concorrenza.
Mi è piaciuta la scelta di spostare la data a fine settembre, il caldo afoso dello scorso anno era perfetto per chi volesse stare in spiaggia, meno per chi pedalava sotto il sole impietoso.
Eppure ognuna di queste voci può migliorare.
Prendiamo ad esempio l’ultima, la data scelta. Io non so quanto voluta o quanto soggetta alla disponibilità della location, resta il fatto che fine settembre è ormai un rischio.
L’abbiamo visto negli ultimi anni, senza adesso star qui a disquisire del repentino cambiamento climatico, come manchi il graduale passaggio dall’estate alle porte dell’autunno. Quello che prima era un periodo climaticamente perfetto per zuzzerellare in bici, si è trasformato in un periodo di eventi estremi, quando l’arrivo di una perturbazione (anche se non particolarmente forte) assume violenza caricandosi della troppa energia accumulata nell’estate torrida. Impossibile fare previsioni meteo attendibili da qui a tre giorni, figuriamoci mesi prima. Però è ormai dato consolidato che quello è un periodo “pericoloso”, infatti solo poco giorni prima una pesante alluvione ha colpito a pochi chilometri dalla sede/percorso del Grinduro. A noi è andata bene, il sabato è stata una bellissima giornata di sole, cosa che il venerdì non lasciava presagire. E poi le ore di luce, le giornate si accorciano. L’anno scorso diversi ciclisti rientrarono dal lungo ben dopo le 19 ma si vedeva ancora bene, a fine settembre alla 19 è buio. Comunque, visto che tutto è andato bene, hanno avuto ragione gli organizzatori.
Ottimi i punti di ristoro, eppure ho trovato la prima, la “pausa caffè”, troppo vicina. D’accordo che io ci sono arrivato tardi perché mi sono fermato una infinità di volte a sistemare il reggisella, ma chi ha pedalato lesto ci è arrivato dopo nemmeno un’ora. Di certo non puoi spostare il casolare (bello e suggestivo), però puoi pensare un percorso che te lo fa raggiungere dopo più tempo/chilometri. Ho visto molti tirar dritto, senza fermarsi perché, effettivamente, non a tutti piaceva raffreddarsi quando ci si era appena scaldati.
Bella e affascinante la struttura del Massa Vecchia Bike Hotel ma piccina per accogliere tutti. Chi non ha trovato posto presso la struttura e non ha optato per le moltissime tende messe a disposizione ha cercato soluzioni alternative, però lontane dal cuore della manifestazione.
Non mi pronuncio sul cibo, a causa di miei problemi di salute posso mangiare pochissime pietanze e quando sono fuori, nel dubbio, preferisco evitare per non trovarmi dolorante il giorno dopo.
Questo in estrema sintesi cos’è il Grinduro, ora posso parlarvi del mio Grinduro.
Il mio Grinduro
Il gravel non esiste! Eppure basta affacciarsi a una manifestazione come questa, di respiro internazionale, per renderti che esiste, è vivo, è gagliardo e ha davanti a sé un florido futuro.
Basta guardarsi intorno durante una manifestazione come questa, parlare con i ciclisti, osservarli mentre scherzano nelle pause, farsi da parte e lasciarli sfilare veloci o fermarsi per aiutare con una foratura o un problema meccanico e ti rendi che c’è qualcosa di diverso, di più genuino, spensierato se vogliamo rispetto alle vere e proprie competizioni su strada e fuoristrada ma anche rispetto alle rando.
E io ho avuto molto tempo per guardarmi intorno.
Il venerdì antecedente il fine settimana del Grinduro mi sono svegliato con la febbre a oltre 39; il martedì successivo, malgrado una abboffata di tachipirina, ero ancora sopra il 38 e la giornata l’ho trascorsa sfogliando la margherita vado/non vado. Il mercoledì, finalmente senza febbre, il giovedì di buon mattino parto alla volta di Massa Marittima. Ma non proprio in forze e con una fastidiosissima tosse.
Arrivo a Massa sotto un cielo plumbeo e con due borse dedicate solo all’abbigliamento per la bici: nel dubbio sul clima ho portato con me tutte e quattro le stagioni, moltiplicato per tre perché non avrei potuto lavarlo.
Tranne le scarpe, avrei trovate sul posto le Shimano XC3 (e le EX7) per iniziare il loro test, a cui sto attualmente lavorando e che leggerete fra qualche settimana.
Il tempo di una doccia e poi giù a Massa Vecchia per guardarmi intorno e iniziare a vivere l’atmosfera del Grinduro, con gli stand in preparazione e il continuo ma mai affannato via vai di persone a sistemare questo e quello.
La sera mi accordo coi meccanici Shimano per sistemare al mattino presto la “mia” bici, io del resto alle 4,30 sono già in piedi, in qualche modo devo tenermi occupato.
E infatti col cielo che non promette nemmeno il grigiore dell’alba scendo a trafficare sulla bici: monto borse da bikepacking, supporto smartphone, portaborraccia. E solo alla fine mi dedico all’altezza sella.
Per scoprire che il reggisella, altissimo per me, più di tanto non va giù anche se la taglia della bici, geometrie alla mano, è corretta.
Tagliare il reggisella è fuori discussione, la bici deve essere riconsegnata integra; chiedo allora in prestito per la mattina una taglia minore ma non mi ci trovo bene.
Prendo al volo una altra bici, l’importante, mi dico, è che sia montata Shimano GRX 2x12v Di2 (ossia il motivo principale per cui sono qui), basta che abbia due ruote e i pedali me la faccio andar bene.
Ora, vedete, io sono da sempre convinto che le bici percepiscano il nostro stato d’animo e si comportino di conseguenza.
Fateci caso: avete una bici perfetta, senza un problema, che non fora da sei anni manco se passate sul tappeto chiodato del fachiro, non perde un cambio marcia anche se non pulite e lubrificate la trasmissione da quando è uscita dal negozio, non l’avete mai lavata eppure lei non tradisce. Come pubblicate l’annuncio di vendita perché invaghiti di una nuova fiamma, lei fora a ripetizione, la catena si inchioda sull’11 e col cavolo fate una salita, lo sporco accumulato casca da solo e trascina con sé tutta la vernice. Ecco, ha avvertito la volete abbandonare: e si vendica.
Più o meno quello che è successo a me al Grinduro: ho guardato la bici con sufficienza, non abbiamo fatto amicizia, non le ho donato un briciolo di considerazione.
E lei mi ha ripagato con un reggisella infido, capace di andare a pacco nei momenti topici.
Il primo già al venerdì, nel prologo cronometrato: carico il peso sulla sella per avere trazione su uno scalino reso viscido dalle recenti piogge e zakkete! reggisella giù. Io fuori traiettoria e botta colossale ci siamo capiti dove. Tempo registrato altissimo, a piedi facevo prima, mezz’ora passata ad aspettare passasse il dolore.
Nel frattempo maledicendo la bici, invece di scusarmi con lei per averla snobbata dal primo momento.
E infatti il sabato me l’ha fatta scontare, almeno per i primi 90 minuti. Aggiungendo un mio errore da pivello.
Infatti sulla linea di partenza l’ispirazione “ah, fammi attivare lo Shadow RD+” (il blocco parziale delle gabbia cambio per limitare i salti di catena, ne ho parlato in abbondanza, sia per il funzionamento che la manutenzione) e puff, lo metto su off invece di on.
Alla prima cambiata assassina salta la catena. Mi fermo e mica controllo la levetta, non scherziamo: penso “ma guarda te, è la prima volta che lo Shadow mi tradisce”.
Riparto gagliardo per rientrare e di nuovo salto di catena. Per puro miracolo il mio unico neurone si sveglia, forse disturbato nel sonno dai continui scuotimenti in fuoristrada, e verifico la levetta: su off. Bel pollo. Segno sul notes, riparto, mi lancio a testa bassa per riprendere il gruppo, la strada sale, carico peso e giù reggisella. Echec….!
Vedo asfalto a poche centinaia di metri, mi dico ok, in piedi sui pedali, recupero e poi mi fermo. ‘Na faticaccia inutile.
Sistemo reggisella, riparto, di nuovo a rilanciare per rientrare, di nuovo reggisella a pacco. Erichec….!
Insomma, senza tirarla per le lunghe, ho annotato nove soste, finché, arrivato al primo punto di ristoro ho deciso di darmi da fare sulla bici anche se tutti ormai stavano ripartendo e sapevo avrei pedalato da solo.
O la va o la spacca, mi industrio a spessorare, stringere, regolare: e va senza spaccarsi, giusto un cedimento alla fine del giro di mezzo centimetro, fa nulla.
Tra il ritardo accumulato prima e quello per sistemare il reggisella, mi sono rassegnato a pedalare buon ultimo, salvo scoprire non sarebbe stato così.
Ho fatto pace con la bici, con me stesso, con l’ansia da prestazione e si, ho iniziato davvero a godermi il Grinduro. A modo mio.
Pedalando spesso da solo, osservando gli altri, aiutando chi aveva una noia tecnica, deviando dal percorso segnalato (in maniera perfetta, va detto) per scoprire quel sentiero dove porta, fermandomi per una foto, per prendere appunti, per ripetere un passaggio e annotare quello che stavo testando (come vi ho detto, ho battezzato le scarpe Shimano XC3 oltre al GRX), togliermi qualche sfizio per raccogliere dati sulle gomme Continental in un modello (eccellente) che non avevo mai usato.
Lasciando scorrere ma non correre le ruote per sentieri tecnici ma abbordabili, smettendo di litigare con la bici ma lasciandola sfogare a modo suo, calando il ritmo per gustare il momento o rilanciando per vedere l’effetto che fa.
Senza curami del tempo, al mattino ho lasciato il badge per i tratti cronometrati sulla rastrelliera alla linea di partenza: vagando in bici su un percorso bellissimo, mettendo alla prova me stesso più che quello avrei dovuto provare, perdendomi nei miei pensieri e perdendomi per strada.
Ritrovando a fasi alterne la strada, me stesso, il gusto dell’andare in bici.
Fino a un punto in cima a una salita in cui mi sono fermato, ho lasciato spaziare lo sguardo, ho salutato i ciclisti che passavano, ho assaporato le emozioni che accumulate e si, confesso la mia colpa: ho chiuso il notes nella borsa e smesso di prendere appunti.
Ho solo voglia di pedalare, di giocare, di divertirmi, di lasciare per una volta da parte il mio “ruolo”. Egoistico, lo so, oltre che poco professionale, in fin dei conti ero lì su invito per un motivo e non è stato del tutto corretto.
Ma io in cuor mio sapevo già che sarei stato compreso; forse non perdonato ma compreso si.
Ho continuato a (di)vagare scegliendo strade alternative per poi tornare sul percorso segnalato, per strana combinazione ho ritrovato il gruppo all’ultima zona di sosta.
Per mio errore e forse perché preso dai sensi di colpa ho scelto di non percorrere l’ultimo tratto, che mi hanno detto bellissimo, per andare su asfalto a raccogliere dati sul GRX 2x12v Di2. Ovviamente perdendomi.
Sono arrivato al campo base di Massa Vecchia molto dopo l’ora di pranzo, frastornato dalle tante emozioni a turbinare in me.
Mi sono seduto a riassaporare i momenti belli, come quella curva in appoggio o il salto in velocità dal quale mentre ero in aria non sapevo se ne sarei uscito intero; i momenti imbarazzanti, come quelle whoops comparse all’improvviso mentre mi rilassavo in presa alta fuorviato da questo prato verde smeraldo che si è aperto all’improvviso e solo dopo la seconda ho realizzato fossero artificiali e che stavo sbagliando l’approccio.
I momenti particolari, come quando dopo l’ennesima divagazione dal percorso e conseguente errore di orientamento mi sono ritrovato nel nulla, solo un casolare in fondo e io a raggiungerlo per chiedere indicazioni, ricevendone più di quante ne potessi digerire e guadagnandomi l’invito a pranzo, stupidamente rifiutato.
Ho iniziato a mettere a fuoco tutto quello che mi ero fermato a osservare: chi mollava la bici per aiutare uno sconosciuto che aveva forato; chi l’abbandonava ancor più lesto se a essere ferma era una fanciulla (non pensate male, è istintivo, la donzella ferma nel bosco, come fai ad andare oltre?); chi si raggruppava per affrontare insieme un tratto più rognoso; chi si fermava ad aspettare e decidere insieme come prendere la discesa tutta pietre; chi brindava così, nel mezzo della campagna toscana, per il solo piacere di esserci.
Sul notes ho una quantità di appunti sul percorso, le difficoltà, i tratti belli, quelli tecnici ma mi rendo conto, a mente fredda, è tutto inutile.
L’anno prossimo sarà un percorso diverso come diverso è stato quest’anno rispetto al precedente.
No, inutile descriverlo.
Perché il percorso cambia, l’atmosfera no.
Agonistica ma senza cattiveria, piuttosto il gusto di sfidare se stessi e gli amici ma senza voler mostrare la propria superiorità.
Sociale, socievole, festosa, irriverente, goliardica.
Negli sguardi e nelle parole di tutti leggevo lo stesso pensiero: andare in bici così è troppo bello per prendersi sul serio.
Il gravel esiste, chiamatelo come volete ma è l’essenza stessa della bici così come è nata, quando le strade non erano asfaltate e la bici era strumento e mezzo di libertà e indipendenza. Ma di questo parleremo una altra volta.
Buone pedalate
@Grinduro
Credit photo Erwin Sikkens
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Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.