Fuoristrada vietato, approfondiamo la norma

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Ieri ho pubblicato una breve nota sulle nuove disposizioni che regolamentano l’uso della rete viaria boschiva e pastorale, in pratica i percorsi fuoristrada.

Nota breve perché mi era caduto l’occhio sulla rassegna della Gazzetta Ufficiale. Che non è un giornalino qualunque, bensì la fonte primaria di conoscenza delle leggi in vigore. Ma non basta: la pubblicazione di una norma sulla Gazzetta Ufficiale è passaggio fondamentale affinché quella norma entri in vigore. In sintesi: anche se approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica, senza pubblicazione in Gazzetta Ufficiale una legge è solo la carta su cui è scritta.

Se vi state chiedendo come mai passi il mio tempo su tali amene letture, rispondo che è il mio mestiere, da trent’anni o giù di lì. Ma non chiedetemi perché l’ho scelto, ancora non ho trovato risposta.

Scorrendo la rassegna sono sobbalzato su un passaggio della normativa riferita a questo benedetto fuoristrada, ho riportato l’articolo nella pubblicazione di ieri, non ho però messo nel giusto rilievo per i non addetti ai lavori il punto cardine.

Vi ricopio l’articolo che ci interessa, in grassetto il motivo del mio allarme. 

“Indipendentemente dal titolo di proprietà, la viabilità forestale e silvo-pastorale e le opere connesse come definite al successivo art. 3  sono vietate al transito ordinario e non sono soggette alle disposizioni discendenti dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 30 aprile 1992, 285. Le regioni disciplinano le modalità di utilizzo, gestione e fruizione tenendo conto delle necessità correlate all’attività di gestione silvo-pastorale e alla tutela ambientale e paesaggistica.”

La parte evidenziata è ciò che definiamo, noi costretti a cibarci di codici e pandette, una voragine interpretativa. Vediamo perché.

Non posso qui scrivere un trattato di Diritto Pubblico ma fornirvi gli strumenti per la migliore comprensione si, quello posso farlo.

Operando una sintesi e saltando alcuni passaggi, mi spiego con l’aiuto di qualche esempio.

Con l’avvertenza fondamentale che in diritto le parole hanno uno specifico significato, del tutto diverso da quello che assumono nel linguaggio comune. Io qui, ovviamente, userò ogni parola nella sua accezione tecnica.

Una legge per sua natura è astratta: deve cioè prevedere una indefinita serie di fattispecie senza però determinarle in concreto.

E già questo, mi rendo conto, scatena più di un mal di testa.

Risolvo con un esempio.

Tutti sappiamo cos’è una rapina, quando cioè qualcuno con violenza sottrae ad altro. 

Bene, senza entrare nella distinzione con il furto, che nel linguaggio comune è assimilato mentre nel diritto penale è ipotesi specifica di reato diversa dalla rapina (manca la violenza, per chi è curioso), se uno cerca la norma sul codice penale troverà una previsione astratta.

Che suona così: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione […]”.

Come vedete non indica una azione in concreto, non la descrive. Non dice chi entra armi in pugno in banca o chi brandisce un coltello o altro di specifico.

Ed è giusto così, altrimenti servirebbe una legge per ogni singolo comportamento reale. Se per paradosso la legge parlasse solo di pistola in banca, allora basterebbe usare un fucile e non sarebbe reato. 

Ricorrendo all’astrattezza della norma (che detta così sembra una cosa semplice, ma sono centinaia di anni che si dibatte sull’argomento) si risolve la questione alla radice.

Ora la rapina c’entra nulla con la nostra guida in fuoristrada ma questo esempio aiuta a comprendere il mio allarme.

Perché l’astrattezza è una arma a doppio taglio. Infatti il sistema costituzionale ha previsto una serie di strumenti, per esempio i regolamenti che specificano in dettaglio.

Qui, nella norma che stiamo esaminando, abbiamo una indicazione generica: sono vietate al transito ordinario.

Poche parole che ricoprono una tale vastità di ipotesi da giustificare pienamente la lucetta rossa che si è accesa appena me le sono trovate davanti.

Perché la norma prosegue definendo i tipi di “strade” interessate al divieto (e i loro criteri di costruzione) che sono praticamente tutte o quasi quelle che troviamo nei nostri giri in fuoristrada.

Abbiamo diverse tipologie di viabilità: principale, secondaria e tracciati temporanei. Ognuna divisa in diverse sottocategorie, a seconda delle dimensioni e del fondo. 

Scorrendo le definizioni troviamo anche  “… piste permanenti [e] …percorsi da lavoro, pedonali e per animali”.

Cioè pure la pista tracciata dai cinghiali che uso per le mie prove in fuoristrada? Mi sa di si, mumble mumble…

Su tutti i percorsi elencati è esplicitamente consentito il passaggio solo ai mezzi funzionali all’attività forestale o lavorativa, connessa ovviamente. Non è che taglio per i boschi per andare in ufficio. Peccato…

Significa che puoi attraversarli solo se il passaggio è giustificato da una di queste esigenze, quale che sia il veicolo usato.

Tutti i percorsi elencati sono vietati al transito ordinario, che comprende qualunque veicolo riconosciuto tale dal codice della strada.

E qui arriva la voragine interpretativa perché le bici sono, a tutti gli effetti, veicoli regolamentati dal codice stradale. 

Il transito ordinario è quello privo delle finalità indicate prima, basta fare due più due è il danno è fatto.

C’è una ulteriore tagliola tra le pieghe della norma: il limite per le Regioni (tranne quelle a Statuto Autonomo) di modificare i limiti imposti in senso più “largo”.

Cioè una Regione può introdurre ulteriori divieti e limiti ma non può cancellare quelli generali previsti dalla legge che stiamo esaminando.

Ci troviamo davanti a un bel problema.

Frutto non credo di astio verso le bici ma di erronea valutazione delle conseguenze pratiche.

Perché dobbiamo guardare ancora una volta all’astrattezza, necessaria, ma poi trasformarla nella quotidiana realtà.

Una quotidiana realtà che significa la concreta possibilità di essere fermati dalla forestale.

Ora, se con un veicolo a motore è semplice, c’è la targa, si prende quella e si eleva contravvenzione (se prevista), con le bici è diverso.

Serve fermare il ciclista e identificarlo; non ha con sé i documenti di riconoscimento, serve accompagnarlo in caserma (che si suppone non sorga nel bosco), avviare le procedure per l’identificazione (lunghe), elevare il verbale (lungo), provvedere eventualmente al fermo temporaneo del veicolo (lunghissimo, non è bene registrato) e se tutto procede svelto salta una giornata per multare un ciclista che si è perso nel bosco.

Fino al colpo di scena finale: non v’è traccia di sanzione per chi transita in violazione di questa norma.

Quindi una mezza giornata persa e una pacca sulla spalla al ciclista: “vede, passare è vietato, però manco una multa o un rimprovero, al ministero se ne sono dimenticati…”.

Immagino già i titoli dei giornali…

Almeno per quanto riguarda le bici ci sono oggettive difficoltà nell’applicazione concreta del divieto, ma questo non significa che norma alla mano il divieto non ci sia. Mi sembra uguale all’obbligo del campanello sulla bici: quante contravvenzioni sono elevate ogni anno per la mancata ottemperanza a questo obbligo previsto dal Codice della strada? Appunto…

E almeno per il campanello l’obbligo è chiaro ed esiste pure la sanzione…

Ciò non toglie che il generico divieto al transito del traffico ordinario, ossia qualunque traffico e con qualunque mezzo previsto dal codice non finalizzato alle necessità indicate, sia un bel macigno con cui fare i conti.

Un macigno ancora più pericoloso proprio a causa delle troppe falle presenti in questa norma. 

Sentieri interpretativi di cui vedi l’inizio ma che a ogni passo e svolta possono condurti su percorsi teorici e pratici che il labirinto di Cnosso a confronto è una dritta Highway americana…

Questo divieto è talmente generico, vasto mi vien da dire, che significa tutto e niente. Quasi certamente arriveranno regolamenti ministeriali per (provare a) fare ordine, con la solita italica elefantiasi normativa che si traduce nel caos assoluto.

Il tutto è però penalizzato alla radice da un ulteriore problema: la gerarchia delle fonti.

Piano, prima di farvi scoppiare un altro mal di testa vediamo di chiarire. 

Nel nostro sistema legislativo, semplifico al massimo per i non addetti sicuro che i giuristi perdoneranno, ci sono leggi con una grado maggiore. Dalla legge costituzionale a quella ordinaria e giù giù fino al regolamento amministrativo che non è una legge ma i suoi effetti sulla vita quotidiana li produce. Ben più di una legge e non sono effetti piacevoli, come può confermare qualunque esperto in diritto amministrativo…

Noi qui abbiamo un decreto ministeriale avente forza di legge che deroga in parte a una legge ordinaria. Da un punto di vista strettamente tecnico un decreto ministeriale avente forza di legge è sullo stesso piano di una legge ordinaria, quindi può derogare.

Ma la forma usata nel nostro caso non è univoca e questo pone un ulteriore problema. Molto tecnico, mi rendo conto, per questo evito qui di approfondirlo con tutta la teoria necessaria alla comprensione per chi non ha (per sua fortuna) studi giuridici alle spalle.

Però è punto che andrà valutato.

Mi sembra di essere tornato indietro di mesi, ai primi DPCM allo scoppiare dell’emergenza sanitaria.

Mal scritti, pieni di incongruenze, fallaci in tanti punti. Se l’emergenza poteva giustificare una svista, oggi no.

Mi sembra di essere tornato indietro anche per un altro motivo. Pure all’epoca pubblicai diversi articoli per offrire la visione tecnica di quei decreti e fui subito attaccato su social e forum, come accaduto ieri alla pubblicazione del mio breve intervento.

Attaccato sul piano personale e non nel merito, soprattutto perché quelle interpretazioni furono poi confermate da ogni studio giuridico svolto successivamente. E vi ricordo che il termine “interpretazione” non significa esprimere una opinione ma seguire precise regole ermeneutiche per arrivare alla comprensione teorica e pratica di una norma. 

Chiunque lavori col Diritto sa che per quanto queste regole siano frutto di qualche millennio di studi, è sempre possibile “piegarle” per indirizzarle dove si vorrebbe. Non è il cavillare che spregiativamente è usato nel linguaggio comune ma una delle più alte forme dell’arte oratoria.

Ieri avevo i minuti contati e mi sono limitato a brevi note.

Oggi ho cercato di fornirvi gli strumenti per comprendere i motivi del mio allarme. 

Ben venga qualunque contributo nel merito, se tra voi ci sono avvocati, magistrati, operatori del diritto sapete meglio di me quanto il confronto sia non solo necessario ma linfa vitale nel complesso lavoro interpretativo.

Degli attacchi personali sono invece stanco. Non qui, da voi, siete persone abituate a ragionare con la vostra testa e di indubbia preparazione, quindi so non ne arriveranno.

So che arriveranno dai soliti forum e social, li ho sempre ignorati ma stavolta si stanno superando i limiti. Quindi, voi leoni da tastiera, se avete qualcosa da dire nel merito liberi di farlo; ma solo nel merito.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Vinicio</cite>

    Ma piedi si può? Perché se è così la montagna estiva va a farsi benedire. Ovvero il transito ordinario è solo su ruota? Il mio italiano non legislativo non mi aiuta a capire.

  • <cite class="fn">Vinicio</cite>

    Ma a piedi si può? Perché altrimenti tutta la montagna estiva va farsi benedire. Il mio italiano non legislativo non mi basta per capire il significato di “transito ordinario”. Se così fosse questa legge non la vedo di facile applicabilità.

  • <cite class="fn">Lanfi</cite>

    Ottimo approfondimento!

    Ieri nel commentare (superficialmente) non avevo capito che si trattasse di un decreto attuativo perché ero saltato subito alla parte “incriminata”.

    Oggi rileggendo il preambolo con calma sono andato a guardarmi la L. 154/2016 che, tra le varie deleghe (e l’ormai solito minestrone), all’art. 5 dispone la “Delega al Governo per il riordino e la semplificazione della normativa in materia di agricoltura, silvicoltura e filiere forestali”. Tutto bellissimo ma da nessuna parte del suddetto articolo leggo che con tale delega il Governo possa anche intervenire (pesantemente) sulla regolamentazione della circolazione stradale. Queste mie osservazione vanno prese con il beneficio del dubbio perchè, dato che nel preambolo del decreto non vi è una espressa indicazione di quale articolo della legge delega attribuisca il potere regolamentare, potrei benissimo aver sbagliato io ad individuarlo nel suddetto articolo 5.

    Sempre sulla “mala tecnica” regolamentare. Nel preambolo, che per i meno avezzi è la parte di motivazione in cui si indicano i presupposti di diritto che portano all’emanazione dell’atto, vengono citate le più svariate norme e non si menziona il c.d.s. che si andrà poi a disapplicare!?!? Perché ricordiamo che parliamo di un atto in cui, con un comma, in teoria verrebbe disapplicato il codice della strada a una rete viaria immensa.

    Insomma, tra eccesso di delega e atto amministrativo illegittimo quale accendiamo XD?

    Ciò detto si ripresenta qui una cosa che da frequentatore del diritto italiano, visto che mi piace ormai considerarlo come un vecchio amico, con i suoi (tanti) vizi e le sue (poche) virtù, sempre più spesso mi capita di vedere: il sorgere di una sempre maggior quantità di obblighi che nella realtà non possono essere attuati e rimangono quindi lettera morta. Il fatto poi che questo “divieto di transito forestale” non preveda neanche una sanzione ne è un’ulteriore riprova.

    Cari saluti, Lorenzo

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