Cop29: chiacchiericcio inutile? Eppure ho cauto ottimismo

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Inizia oggi a Baku la 29esima Conferenza ONU sui cambiamenti climatici.

Dopo la Cop28, anche questa si svolge in un Paese che regge la propria economia sull’estrazione di idrocarburi e potrebbe non essere buon segno.

Dell’ultima Conferenza mi sono occupato in più occasioni lo scorso anno, cercherò di fare lo stesso anche stavolta. Consapevole che malgrado i proclami è argomento che “tira” poco. Ma io non inseguo né click né vuoto consenso.

Ci attendono due settimane di dibattiti e colloqui, la fine è fissata per il 22 novembre ma è assai probabile si andrà oltre. Se non a oltranza, fino a trovare la quadra di un documento finale che non scontenti nessuno. Che è cosa affatto diversa da far contenti tutti. 

La Cop28 la definì un mezzo fallimento, oggi a un anno di distanza comprendo che qualcosa, anche se poco, lo riuscì a portare a casa. 

Certo, serve molto ottimismo per definire un traguardo la dichiarazione di abbandonare prima o poi i combustibili fossili ma quest’anno voglio essere positivo.

Le premesse non sono le migliori. A parte la scelta del luogo, di nuovo nella tana del lupo, dobbiamo guardare le mutate condizioni politiche.

Alla Casa Bianca sta per sedere un negazionista dei cambiamenti climatici che nel suo primo mandato mise gli USA fuori dagli accordi di Parigi. Reinseriti da Biden, fonti del WSJ informano che Trump firmerà un decreto esecutivo per la seconda uscita dagli accordi già nei primi giorni (forse proprio il primo, già ci stanno lavorando) del suo insediamento.

E quindi possiamo essere facili profeti a dire che l’apporto sarà il minimo sindacale, se non nullo.

L’Europa vive il suo momento di maggiore debolezza dall’Unione, con i movimenti di destra e estrema destra, tutti contro le politiche green, al potere o comunque in grado di influenzare le scelte dei singoli Governi. E tutti ben foraggiati dalla disinformazione Russa, come ha certificato una indagine della Procura di Bruxelles che ha individuato lì i server da cui partono le fake news.

L’Italia prova a cementare un asse con le Cancellerie a lei ideologicamente vicine, seppure in un corto circuito delle alleanze interne per cui il partito di maggioranza relativa ha dovuto abbandonare le sciocchezze da campagna elettorale o di quando era all’opposizione incontrata la realtà, uno degli alleati non ha esitato a carpirne i toni più estremistici cercando di rosicchiare consenso al primo partito, l’altro vivacchia dandosi atteggiamenti moderati ma è pronto a obbedire appena necessario. Anche cavalcando tesi negazioniste. 

E comunque visto che il motto dei sovranisti è “Prima gli…”, francamente mi sembra l’antitesi del concetto di alleanza.

La Germania con la recente crisi di governo vede il suo Primo ministro ancor più debole di quanto sia mai stato, spesso per sua stessa costituzione. La crisi dell’industria automobilistica nazionale, non causata direttamente dal green deal, viene a questo associata e nella cabina elettorale ha il suo peso.

La Francia ha un Presidente in scadenza nonché a capo di un movimento senza futuro politico, e malgrado sia l’unico leader europeo con una visione chiara paga limiti caratteriali e l’incapacità di far accettare la realtà ai suoi concittadini.

La Spagna dopo l’azzardo vinto da Sanchez alle ultime elezioni e una crescita economica notevole senza evidenti aumenti delle disuguaglianze sociali, anzi il contrario, fatica a imporsi come guida; fatica persino a entrare nella stanza dei bottoni europea. Con in più dover affrontare il disastro di Valencia a distrarre, anche se dopo l’ultima manifestazione contro il governatore negazionista delle regione la comunità valenciana sembra aver compreso con chi prendersela.

Il Regno Unito seppure abbia stravolto il proprio Governo non è parte della UE e lotta ancora coi problemi dell’incauta scelta di uscirne, scelta che è ormai assodato fortemente inquinata da interventi esterni, Russia in primis. Non è il momento di chiedere sacrifici.

La struttura di una UE allargata, dove la Nazioni sono pari solo di nome ma nei fatti ci sono sempre stati forti assi di collegamento tra i Paesi fondatori a fare da guida, è al momento tramontato.

In pratica ognuno va per conto suo, esattamente quello che serve per indebolirsi ogni giorno di più.

Quindi anche su questo versante, dopo gli USA, non si vede un protagonista autorevole in grado di indirizzare il lavori della Cop29, considerando le tante assenze annunciate di leader europei. Ognuno per ragioni diverse ma alla fine gli assenti hanno sempre torto.

Una voce autorevole lo scorso anno è stata quella del Vaticano, forse l’unico Stato che in quel consesso si è battuto con vigore per difendere non solo il Pianeta ma le popolazioni maggiormente colpite dai disastri ambientali e dalle crisi economiche derivanti. Dopo dodici mesi è difficile tornerà con rinnovato vigore, il perdurare della guerra in Ucraina e la crisi medio orientale hanno fiaccato la diplomazia vaticana certificandone l’irrilevanza come mai registrato negli ultimi decenni, e la voglia di impegnare risorse in qualcosa che viene vissuto come lontano e fantasioso da molti sembra non esserci più.

Il blocco dei Paesi produttori di petrolio è più forte che mai, grazie non solo alla montagna di denaro che possiede ma all’intensa opera di lobbismo e persuasione nonché fitto intreccio di accordi bilaterali, senza andare troppo per il sottile sulla democraticità delle controparti. Del resto non è che loro brillino…

La ascesa dei Paesi Brics, con la fila per entrarci e la per nulla celata volontà di proporsi come blocco alternativo all’Occidente, potrebbe solo aumentare la conflittualità delle tesi e visioni opposte.

Dico potrebbe perché a ben guardare il Brics al momento è più facciata che sostanza. Dietro le dichiarazioni di amicizia e le pacche sulle spalle, tra i leader Putin e Xi Jinping si cela la sotterranea lotta per chi debba guidare questo nuovo blocco.

Con la Russia alla ricerca di tecnologie e prodotti che le sanzioni imposte per la criminale aggressione all’Ucraina non fanno più arrivare, la Cina che ha bisogno di un enorme mercato di sfogo per la sua sovraproduzione (che al momento regge solo grazie a massicce iniezioni di denaro statale) e, non trascurabile, una certa volontà di rivalsa del nuovo Mao – e lui che si è definito così – per come Stalin snobbò il padre della Rivoluzione Culturale.

Di fatto i Brics non vanno d’accordo su niente e stanno insieme solo per essere contro. Difficile che nel breve periodo qualcosa cambi, impossibile che se non cambi possa avere successo. Chi è contro e basta perde sempre, la storia ce lo dimostra.

Con queste premesse ora, se siete arrivati fin qui (e di questo vi ringrazio) vi starete chiedendo da dove tragga la mia voglia di ottimismo.

Nasce dall’attento studio delle dinamiche di questi ed altri consessi internazionali, dove il movimento è quello dei ghiacciai: apparentemente immobili, capaci nel lungo periodo di trascinare tutto.

Anche perché ormai non c’è più scelta, la questione non è discutere se il cambiamento climatico così repentino (è la sua velocità il pericolo) esista o meno: la questione è trovare i soldi per fare.

Già, ma fare cosa? Ecco, questo dovrebbe venir fuori proprio dalla Cop29.

Quella della capitale azera è stata definita la “Cop della finanza” e il suo successo si misurerà soprattutto su questo terreno: un accordo capace di mobilitare risorse economiche, pubbliche e private, per favorire la transizione energetica (e quindi ecologica) di quei Paesi che le risorse non le hanno.

Ma, pur essendo il principale, non è l’unico punto in discussione nella fittissima agenda della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), l’agenzia Onu che organizza e gestisce la Conferenza. Ecco dunque di cosa si parlerà a Baku fino al 22 novembre. E presumibilmente oltre.

Nel 2009, i Paesi più ricchi si erano impegnati a elargire fino a 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti internazionali per il clima entro il 2020. L’Accordo di Parigi del 2015 aveva dato una nuova scadenza temporale spostando l’impegno fino al 2025.

E dopo il 2025? Nella Cop29 si cercherà di stabilire un nuovo obiettivo globale di finanziamento per gli anni a venire, partendo dall’impegno dei 100 miliardi di dollari all’anno concordato in precedenza. Ma l’Africa Group chiede 1300 miliardi entro il 2030, mentre l’Arabic Group parla di 1100 miliardi di dollari. Al di là della cifra, si dovrà definire quanto arriverà da fonti pubbliche e quanto da quelle private. E se i finanziamenti saranno erogati sotto forma di sovvenzioni oppure di prestiti.

C’è poi la questione Cina: che non caccia un centesimo. Infatti gode ancora dello status di Paese in via di sviluppo, fermo al 1992, anno in cui fu firmata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

E’ sotto gli occhi che ora la Cina è a tutti gli effetti una potenza economica di prim’ordine, seppure le fondamenta sembrano scricchiolare negli ultimi mesi. Aprirà il portafoglio? Riuscirà l’Occidente (perché al di là di tutto i blocchi esistono) a far cedere il Paese di Mezzo? 

E poi con quale autorevolezza parleranno gli Stati Uniti, loro che solo il primo inquinatore? Il World Research Institute ha costruito un calcolatore online per definire quale dovrebbe essere il contributo dei grandi inquinatori: suggerisce che gli Stati Uniti devono il 42% dei soldi per il clima, l’Europa il 22% e la Cina il 6%.

Entro febbraio 2025 ogni Paese dovrà presentare i suoi nuovi Ndc (contributi determinati a livello nazionale). Sono piani non vincolanti che espongono le azioni dei singoli governi contro il cambiamento climatico, compresi gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra, le politiche e le misure in risposta ai cambiamenti climatici e per raggiungere gli obiettivi globali stabiliti dall’Accordo di Parigi.

Tale Accordo prevede che le nazioni presentino impegni climatici sempre più ambiziosi ogni cinque anni, aumentando progressivamente i propri obiettivi per ridurre le emissioni.

Da questo punto di vista, la Conferenza di Baku si colloca tra due appuntamenti storici: dopo la Cop28 di Dubai che ha sancito la “transition away” dai combustibili fossili e auspicato la triplicazione delle energie rinnovabili, e subito prima della Cop30 di Belém, in Amazzonia, che dovrà proprio ratificare i nuovi Ndc, a dieci anni esatti dall’Accordo di Parigi.

Una Cop intermedia quindi, zoppa quasi viste anche le importanti defezioni.

Eppure resto convinto che qualcosa emergerà. Soprattutto dal lato pratico.

Mi riferisco al Fondo per il loss and damage.

Varato nel 2022 alla Cop27 di Sharm el Sheikh e salutato allora come un grande successo dai Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, il fondo che dovrà aiutare a rimediare alle perdite e ai danni va implementato.

Durante questo 2024 si è stabilito il Paese sede del suo consiglio, è stato nominato il direttore esecutivo, sono iniziati gli scambi con la Banca Mondiale.   

In questa Cop29 dovrebbero arrivare le approvazioni formali alle decisioni provvisorie: in pratica si sbloccano soldi e finanziamenti.

I negoziatori esamineranno anche il Meccanismo Internazionale di Varsavia (Wim), istituito per affrontare gli impatti del cambiamento climatico che vanno oltre ciò a cui le persone e gli ecosistemi possono adattarsi.

Il Wim andrebbe rafforzato e coordinato sia con il Loss and Damage Fund che con il Santiago Network, che facilita l’assistenza tecnica ai Paesi vulnerabili nell’affrontare perdite e danni correlati al clima.

Inoltre l’ultima Cop ha stabilito i piani nazionali di adattamento, un quadro per l’Obiettivo globale sull’adattamento, sollecitando i singoli Paesi a formulare Piani nazionali di adattamento (NAP) entro il 2025 e a dimostrare i progressi nella loro implementazione entro il 2030.

Piani che vanno a rilento, questa Cop29 dovrebbe guidare e assistere i governi nazionali nella stesura e nell’implementazione dei rispettivi Piani di adattamento, oltre a definire i metodi per misurare i progressi fatti nell’adattamento. Anche in questo capitolo non mancherà la voce finanza: e cioè come attrarre promesse di finanziamento per l’adattamento, da far confluire per esempio nell’apposito Adaptation Fund.

Fund, appunto: si, il denaro è il protagonista di questa Cop29.

Ma voglio lanciarmi in una previsione: la Cina potrebbe essere la grande sorpresa di questa Cop29.

Le condizioni le sono favorevoli, tra assenze annunciate e presenze di facciata potrebbe essere l’occasione per quella ribalta internazionale capace di donare il prestigio che Xi Jinping cerca, soffiando via quell’aria di sufficienza troppo spesso ostentata dall’Occidente, inviando un chiaro segnale a Trump che da negazionista qual è ha sempre bollato il cambiamento climatico un complotto ordito dalla Cina, e soprattutto assumendo quel ruolo guida a cui non ha mai fatto mistero di aspirare.

Ultima notazione: ringrazio chi è arrivato fin qui, forse stupito che su un blog di biciclettine si trattino questioni apparentemente estranee. No, io sono sempre lo stesso, quello che regola il cambio e prova i copertoncini: ma su questa piccola “palluccella” ci vivo come tutti voi, informare è anzitutto mio dovere.

Buone pedalate

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