Chi ha detto che le gravel non sono bici specialistiche?

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Né carne né pesce, buone per fare tutto ma nulla bene: insomma, non sono bici specialistiche.

Questo in estrema sintesi un claim che gira imperterrito tra i gruppi social, dove tanti che una gravel non la possiedono, non l’hanno mai usata, non ne conoscono la storia e soprattutto ignorano l’enorme lavoro che c’è dietro la progettazione di una bici, ripetono a pappagallo pavoneggiandosi a esperti.

Perché, secondo loro, una full o una top da strada è una bici specialistica.

Il che potrebbe essere vero se il termine “specialistica” fosse declinato nella sua accezione di “bici per una data specialità”.

Ma non è così che viene intesa.

Insomma, si prende un telaio, si ampia il passaggio gomme, si sforacchia qui e là per gli accessori, una piega ed ecco servita la gravel.

No, non ci siamo.

Chiunque abbia un minimo di conoscenza di cosa significa progettare una bici moderna ha ben chiaro che ideare una bici destinata a un uso specialistico è infinitamente più semplice di una bici “non specialistica” come la gravel, dove qui intendo la capacità di vivere tante anime del ciclismo.

Facciamo un veloce esempio: bici da corsa. Deve essere leggera, rigida, veloce. Non importa se col bagaglio, che non puoi montare, diventa inguidabile; che l’assetto ti spacca la schiena dopo alcune ore, tanto è per atleti o per la sparata pancia a terra; non importa che quel punto del telaio sia rinforzato senza appesantire, tanto non la porti in fuoristrada. E così via.

Prendiamo una gravel.

Deve essere ragionevolmente veloce su asfalto, agile e reattiva in fuoristrada, capace di sopportare i colpi e il bagaglio, essere comoda, morbida ma non flaccida, reattiva ma non rigida e così via nel crescendo delle apparenti contraddizioni.

Ci rendiamo conto che progettare una bici simile è complicatissimo?

Occorre uno studio attentissimo alle geometrie per non parlare dei materiali, ché se il telaio è in composito c’è da diventar matti con la disposizione delle fibre e le composizioni della resina.

Più semplice diversificare, dando di volta in volta vita a una bici con maggiore propensione ad un certo uso a discapito dell’altro. La metafora della coperta troppo corta.

Poi si, mettere sul mercato bici gravel con maggiore propensione all’asfalto o all’off-road o al turismo avventuroso risponde alla necessità di venire incontro alle richieste dei ciclisti.

Ma resta il fatto che  riuscire a creare il perfetto amalgama è qualcosa che si avvicina molto alla bici universale, che non esiste e non esisterà mai, non perché le aziende non la vogliono: perché è impossibile da creare.

Ecco dove sta l’estrema specializzazione delle gravel: far convivere tante anime creando la perfetta armonia.

E’ difficile, difficilissimo, pochi centrano davvero l’obiettivo.

Si, le gravel sono bici estremamente specialistiche.

C’è anche il formato video, questo il link diretto, altrimenti miniatura.

Buone pedalate

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