[Bikeconomy] E se il 2025 non fosse l’anno della svolta per il mercato bici?

Leggo da più parti rosee previsioni per il mercato bici. Dopo la batosta degli anni scorsi, il 2025 sembra essere quello della ripresa.
Ne siamo proprio sicuri?
La profonda crisi attraversata (che sta attraversando) la pronosticai quando il mercato veleggiava gagliardo verso verso rotte di sicuro successo. Pochi mi diedero ascolto all’inizio, tutti si son dovuti ricredere dopo.
Le ragioni di questa crisi l’ho raccontata molte volte, il prezzo alto delle bici non è mai stata la vera causa, al massimo un evento marginale.
Così come lo è adesso.
Per inciso: le top da diecimila e passa euro non fanno e mai hanno fatto grandi numeri di vendita; il fatturato non lo creano loro; il prezzo alto spesso è causa non di mera speculazione ma di ricerca e investimenti perché i ciclisti vogliono bici sempre più leggere, veloci, performanti.
Se tu gli metti davanti un bel telaietto in composito montato con un signor gruppo come lo Shimano 105 meccanico, ti snobbano bollando il tutto come entry level, roba scarsa, “io mi vergogno a farmi vedere in gruppo”. Dimostrando ignoranza tecnica e poca intelligenza in assoluto.
Quindi abbandoniamo subito la questione prezzi, perché, ancora una volta, il vero problema, la probabile tempesta che si prospetta all’orizzonte non è da qui che trae origine.
Noi siamo abituati a credere che quello che succede nel nostro Paese sia emblematico di quanto accade nel mondo.
Anzi, ogni ciclista è convinto che quello che vive lui sia regola universale.
Senza badare al fatto che viviamo su una palluccella a spasso nell’Universo su cui siamo strettamente connessi in una rete globale di relazioni.
Ora finché è un singolo o tanti ciclisti ad avere questa ristretta visione va bene, danni nessuno.
Quando ad averla è, sono, personaggi con il potere di incidere sui processi decisionali, la questione si fa problematica.
Stiamo vivendo un momento delicatissimo, pensare che il ritorno a politiche mercantili da inizio ‘900 sia risolutorio è pura follia: ma è follia in cui credono.
La visione nostalgica di un mondo diviso in blocchi, in compartimenti stagni, dove due potenze si spartiscono le rispettive sfere di influenza è la negazione stessa dell’intelligenza.
D’accordo, ma cosa c’entra questo con le bici? Davanti a questi problemi tu stai a parlare di biciclettine?
Si, perché qui sul blog di bici parlo; e perché è un settore merceologico come tanti che subirà fortissimi impatti negativi da queste ottuse politiche, i cui danni maggiori saranno alla fine per noi. Che sia la bici o altro.
Però la bici diventa paradigmatica giacché bene voluttuario. Si, per noi appassionati è indispensabile, vitale potrei dire, non riusciamo a farne a meno.
Ma il frigorifero è necessario, la bici per la stragrande maggioranza dei suoi acquirenti è un di più. I numeri non li facciamo noi pedalatori seriali ma quelli che la acquistano per usarla, si e no, una volta al mese e la domenica al parco.
O, in aumento, quelli che la usano per andare al lavoro in sostituzione dell’auto, preferendo la comodità di una e-bike. Che ha numeri di vendita inferiori ma salva il fatturato, come ho raccontato in precedenti articoli. E cresce mentre le bici classiche frenano.
Se guardiamo i dati macroeconomici, le chiusure dei bilanci 2024 hanno segnato risultati globali incoraggianti, seppure il tutto viziato da due fattori: la forte politica di sconti operata dalle aziende per mettere in circolo l’invenduto e la giacenza che è comunque elevata in buona parte del globo.
La Cina viaggia forte, così come alcuni Paesi del Sud America ma a trarne beneficio sono soprattutto le aziende di componentistica. Le bici complete no, sono ancora in crisi in buona parte dell’Europa e in Nord America.
Sorvolo sulle bislacche tesi di autonominati esperti che vedono nel calo delle vendite in Germania un evidente segnale di crescita. Cosa non si fa per un pugno di click.
Se guardiamo solo all’Italia, i dati ANCMA da poco resi noti mostrano una frenata della crisi, nel senso che dal drammatico -23% si passa a un più rassicurante -0,7%. Sempre segno meno è; ma tollerabile.
Se guardiamo il fatturato perso in questi anni di crisi, solo sul mercato italiano si sono persi 900 milioni di euro.
Che significa almeno una ventina di aziende che hanno chiuso e tantissime persone che hanno perso il lavoro: è perdita di ricchezza.
A trainare i fatturati ancora una volta le e-bike, che, piaccia o no ai talebani del ciclismo, sono il futuro ed è grazie a loro che possiamo ancora godere delle nostre attuali bici, perché i soldi a casa li portano loro.
L’export italiano registra un aumento, e questo fino a due mesi fa sarebbe stata ottima notizia, ora lascia il tempo che trova quando abbiamo un tizio, che passa due ore al giorno a farsi pettinare per camuffare la pelata, a imporre dazi a chiunque gli si pari davanti, pure al maggiordomo.
“Presidente, caffè o thé?”
“Domani ti sparo due dazi”
E nessuno che risponda con la giusta rima…
Qui da me a Napoli lo definiremmo “nu guapp’ e cartone”: il problema è che si tratta di un guappo di cartone con una firma capace di bruciare miliardi.
L’ANCMA, per bocca del suo presidente Mariano Roman punta il dito contro l’inerzia governativa che causa la mancata spesa di oltre 600 milioni di euro del Pnnr destinati alle infrastrutture per le bici.
Il presidente di CONEBI Massimo Panzeri pone l’accento sulla mancanza di politiche fiscali che non si riducano ai soliti (e dannosi aggiungo io) incentivi all’acquisto ma rientrino in un progetto globale di fiscalità destinata a incentivare l’uso della bici.
Che, non va dimenticato, genera benefici a cascata: per l’ambiente, per la nostre tasche, per le casse degli Stati, per le spese sanitarie e così via.
Insomma, servono soldi ma serve anzitutto un cambio di mentalità: la bici con pari dignità, se non superiore, rispetto all’auto e non semplice svago per perdigiorno radical chic come invece da sempre sostengono le forze cosiddette sovraniste.
Quindi, visto l’andazzo, possiamo tranquillamente rubricare queste dichiarazioni nel libro dei sogni.
Se lasciamo da parte l’Italia e il mercato bici globale rivolgendo lo sguardo ai tanti fronti di crisi aperti e che si stanno aprendo, sia politici che economici, allora iniziamo ad avvicinarci al cuore del problema.
Eventi che ci sembrano lontani o marginali diventano focali.
Quando un bulletto arricchito ha definito gli europei “scrocconi” e manifestato rimpianto per doverli di nuovo aiutare ha detto una cosa sbagliata e una giusta. E mentre i tanti politici patrioti accorrevano a giustificarlo, malgrado alla fine a loro ha preso a pesci in faccia, nessuno ha notato che quasi la metà del traffico marittimo di merci destinate all’Europa passa per il Mar Rosso, dove gli assalti della pirateria da anni crea fortissime tensioni nonché la necessità di costose misure di sicurezza o altrettanto costosi cambi di rotte, ben più lunghe, per evitare quel tratto di mare.
Quando un analfabeta funzionale minaccia dazi per capriccio a chiunque gli parli e poi ha purtroppo il potere di applicarli senza alcuna cognizione di cosa e chi andrà a colpire (più se stesso e i suoi elettori in realtà ma vaglielo a spiegare), convinto che così da un giorno all’altro sorgeranno sul suolo patrio industrie siderurgiche, meccaniche, tessili, manifatturiere, danneggia tutti.
Quando l’Europa è costretta a risvegliarsi e creare strumenti finanziari e/o trovare fondi per limitare la minaccia di un criminale che vagheggia il ritorno a una presunta grandezza zarista, sottrae risorse ad altri compartimenti. Così come quando l’Europa non accetta supina le angherie commerciali che arrivano oltre Atlantico imponendo a sua volta dazi, il risultato è una sconfitta globale, un impoverimento per tutti causato dalla ottusità di uno (quello col riporto).
E sia chiaro: non solo sono fermamente convinto l’Europa faccia bene. Per me è pure troppo prudenziale. Io partirei da subito tassando per davvero le big tech e imponendo a livello europeo la responsabilità dell’editore per le false notizie e le calunnie pubblicate sui loro social, così come avviene per la stampa. Fermare la disinformazione varrebbe da sola ben più di tutti i missili e i carri armati che è possibile produrre.
Iniziando a combinare tra loro dazi, politiche commerciali mafiose, mire espansionistiche, virulente campagne di disinformazione capaci di inquinare in modo irrimediabile il processo democratico, la folle concezione che essere eletti significhi investitura divina e tutto è concesso al capo e ultima ma non ultima la continua incertezza creata da annunci notturni divulgati sui social dal presidente (minuscolo) della maggiore potenza occidentale e che al mattino bruciano migliaia di miliardi di valore nelle Borse mondiali, ne risulta una estrema volatilità dei mercati, un aumento generalizzato delle materie prime, una crescente difficoltà nell’approvvigionarsi dei minerali necessari, un aumento continuo dei costi industriali, un conseguente declino per moltissime aziende che sceglieranno di licenziare, un aumento dei costi di trasporto delle merci, un sempre più accentuato impoverimento nostro.
Tenendo presente che queste mie considerazioni potrebbero essere vecchie già fra una settimana, vista la velocità con cui oltre oceano cambiano più volte idea nell’arco di una giornata.
Questo non significa, per tornare al nostro mondo, un immediato aumento dei prezzi delle bici. Ci sono ancora abbastanza scorte per far fronte alla domanda.
Ma una azienda per vivere deve produrre e se continua così dovrà ridurre i volumi: che significa non solo licenziare ma che ogni pezzo costa di più. Perché un impianto produttivo, la faccio semplice, studiato per creare 1000 pezzi, è valido se ne produce 1000. Se ne produce 100 costa uguale mantenerlo ma non genera reddito. Quindi lo fermi altrimenti ti cappotti. O non lo fermi ma aumenti i prezzi.
L’inflazione, che già morde da troppo tempo con ferocia, subirà una quasi certa impennata, forse calmierata in parte da una riduzione nel breve periodo dei costi energetici, frutto della scellerata decisione statunitense di riavviare trivellazioni e uso massiccio dei combustibili fossili nonché da più che probabili accordi con la Russia per rifornire del suo gas.
Ma nel lungo periodo i danni si faranno sentire, sia economici che ambientali.
E se anche le aziende di bici, come di qualunque altro bene, decidessero di accollarsi parte delle conseguenze negative, resta il fatto che le famiglie soldi in casa ne hanno sempre meno e con un potere d’acquisto sempre più eroso nonché, soprattutto da noi, un indice di aumento delle retribuzioni praticamente fermo da decenni.
Quindi ora chiedo: chi e quanti con questi quarti di luna penseranno a comprare una bici?
Ecco, la risposta è tutta qui.
Il video, con toni più pacati perché la piattaforma, beh…
Buone pedalate
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.