A volte basta poco…

Tempo di lettura: 2 minuti

…per dare personalità a una bici.

Modifiche minime e il colpo d’occhio finale è tutta una altra cosa.

Premessa: questo non è un articolo tecnico, solo una chiacchierata.

Tempo fa decisi che sarebbe stato interessante esplorare il mondo delle bici da trekking o dual sport o fitness o come accidenti le vogliono etichettare le aziende. E per farlo mi serviva aggiungere al “parco bici per i test” qualcosa di adatto.

Bici tuttofare, raramente fanno battere il cuore ma hanno tante qualità, sono le compagne (quasi) per la vita di tanti ciclisti e la stampa di settore le snobba. 

Hanno nella poliedricità la loro arma vincente. Ci vai al lavoro, ci esci la sera per un caffè in centro (ora no, vabbè), ci vai a fare la spesa, la domenica ci vai a zonzo dove ti pare.

Perché possono affrontare ogni tipo di strada, dall’asfalto al pavé al fuoristrada leggero.

Vero che loro, le bici, leggere non sono (ma ci sono modelli in carbonio interessanti, però il prezzo sale), e il peso aumenta se accessoriate.

Il passo ne risente, non il gusto.

Sono bici con telai di derivazione Mtb, forcelle ammortizzate o rigide, spazio per gomme generose, occhielli per portapacchi; molte hanno dinamo a mozzo, luci, parafanghi e portapacchi di serie.

Trasmissioni a doppia o tripla corona e freni a disco idraulici.

Con un migliaio di euro ci si porta a casa bici di buon livello globale.

Non ci fai la crono né l’uscita col gruppo infoiato (ma con un poco di gamba, credetemi, il passo veloce c’è): ti godi le giornate sui pedali.

Insomma, tante qualità eppure qualcosa manca: la personalità.

Per dirla breve: sono piuttosto insipide.

Il farro avrà tante qualità, farà sicuramente bene alla salute ma se me lo metti nel piatto, io mi deprimo.

Una bella pizza fritta (per me completa, pliiiisss) sarà pure poco salutare ma dopo ti senti felice. Burp.

Ecco, queste bici sono abbastanza deprimenti a vederle, seppure molti modelli dal vivo poi rendano assai più che in foto.

Quel loro essere ibride se per l’utilizzo è un pregio, le priva di carattere, di personalità.

Però basta davvero poco per donargli una diversa anima, almeno visiva; senza sacrificarne più di tanto la poliedricità, anzi, spesso aumentandola.

Prendiamo questa Giant Roam 1.

Buona bici, senza dubbio. Qualità dinamiche, comfort, utilizzo a tutto campo, qualità quanto basta per pedalare sereni.

Viene venduta così come la vedete, nuda. 

Ha i foderi infulcrati bassi, una soluzione che io non prediligo esteticamente, fan sembrare la ruota posteriore messa lì per caso, molto carrellino portabagagli.

Ha clearance generoso per le gomme, però persino queste 700×42 di serie appaiono spaesate, troppo spazio intorno.

Il manubrio ha un rise minimo, appiattisce l’avantreno.

Anche se, vi assicuro, dal vivo è assai più gradevole che in foto (merito del colore blu navy, elegante), non è certo la bici che ti volti a guardare.

Così ho deciso di intervenire, poche mirate modifiche.

Anzitutto un bel paio di copertoni più generosi, dei 700×50 da gravel; sono i Good Year Connector di cui leggerete fra un paio di settimane la recensione e che sto testando anche in questa configurazione “tuttofare”.

Il loro essere bicolori aggiunge quel tocco di aggressiva eleganza che cambia del tutto il colpo d’occhio della bici.

Il retrotreno con quei foderi infulcrati bassi andava riempito, serviva volume.

Anche se non amo i portapacchi tradizionali, preferisco versioni minimali, qui serviva qualcosa di corposo a ridare sostanza alla zona posteriore.

Un manubrio con rise più pronunciato ha fatto acquisire importanza ad un avantreno altrimenti piuttosto anonimo.

La sella di serie ha lasciato posto a una Brooks C15, ma questo solo per mio comfort supplementare.

Nell’insieme la bici perde quell’aria dismessa, sembra pronta a qualunque avventura.

In realtà pronta lo era pure prima, però non lo dichiarava.

Certo, qui parliamo di modifiche estetiche più che tecniche, quindi non tutti possono gradire.

Oltre la comodità di un portapacchi, almeno per chi usa la bici quotidianamente, le gomme da gravel non vanno intese come modifica tecnica. Di serie bici simili montano sempre gomme adatte a un moderato fuoristrada, scegliere una versione più specialistica è decisione personale. Ce ne sono tante, per esempio, di gomme cicciotte ma dedicate all’asfalto.

Quello che cercavo era distribuire meglio i volumi, soprattutto alla forcella.

A me così piace di più, ad altri forse di meno rispetto all’originale.

Ma il punto è altro, per questo l’articolo non è nella sezione tecnica.

Il punto è che basta davvero poco per dare nuova vita a una bici, per tirarle fuori personalità.

Non bisogna guardare altrove e copiare, pessima strategia.

Osservate la vostra bici, concentratevi sulle zone prive di armonia o che volete valorizzare, immaginate come sarebbe “se montassi questo…”, visualizzate il risultato nella vostra mente, il resto vien da sé.

Tanto sono quasi sempre modifiche che di realmente tecnico hanno poco o nulla. Un set di gomme prima o poi va cambiato, un portapacchi, una luce o un parafango particolare tornano sempre utili, persino un portaborraccia può aiutare.

La bici non è una religione, è un divertimento. 

Divertiamoci con lei, ne sarà contenta. E pure noi.

Buone pedalate


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COMMENTS

  • <cite class="fn">Stefano</cite>

    Diciamo che la versione base era un po’ … cupa. Blu scuro e nero.
    Le pedivelle cromate, una sella un po’ colorata, l’avrebbero resa meno funerea.
    Belli i copertoni con la banda colorata, secondo me il grosso del restyling l’hanno fatto quelli, mentre il portapacchi per me la fa diventare troppo cittadina.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Stefano, come indicato all’inizio, qui non siamo in presenza di un articolo tecnico, solo una scusa per parlare di come poter cambiare aspetto lavorando sui dettagli.
      Portapacchi, visto il tipo di bici, è una modifica che ha il suo senso; poi è ovvio, non sta lì per bellezza e basta, se uno decide di lavorare in questo senso è anche perché gli serve.
      Un altro potrebbe preferire le luci o un portaborraccia particolare oppure sottili gomme stradali e così via.
      Non conta il lavoro fatto qui, conta l’invito a immaginare la propria bici “diversa”.

      Fabio

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