Zero rh+ Z Alpha Mips

Il Mips

Tempo di lettura: 8 minuti

Il Mips

Immagino molti di voi già sappiano cosa sia il Mips, per questo finora l’ho solo citato senza mai spiegare in dettaglio cosa sia. Cosa che farò adesso, a beneficio di chi non conosce questa tecnologia; e anche di chi la conosce, un ripasso fa sempre bene mi ammoniva la professoressa del ginnasio.

Mips è acronimo che indica il Multi-directional Impact Protection System, a cui aggiungere l’altro acronimo BPS che indica il Brain Protection System.

Detto così ne sappiamo come prima, cioè ben poco. Meglio spiegare.

Ed è meglio spiegare partendo dall’inizio.

Come spesso accade le migliori invenzioni nascono (quasi) per caso: una intuizione, una idea, l’incontro e il confronto, la sperimentazione e infine il risultato. Che uno guarda e domanda “opperò, perché non ci hanno pensato prima?”.

Più o meno quello che è successo quando nel 1995, il neurochirurgo svedese Hans von Holst del Karolinska Institute di Stoccolma si rese conto che i caschi in generale erano costruiti in modo tale che malgrado tutto si generavano troppi danni, anche se perfettamente calzati e di buona qualità. Dissipavano l’energia di impatto, è vero: ma non sembrava bastare. Contattò così il Royal Institute of Technology (KTH) a Stoccolma per avviare una ricerca biomeccanica sulla prevenzione delle lesioni alla testa e al collo. E qui l’allora studente Peter Halldin iniziò un dottorato in biomeccanica per lesioni alla testa e al collo; il primo dottorato in questo campo.

Peter Halldin si approcciò all’argomento da un punto di vista tecnico e con l’aiuto di Hans von Holst e il suo background clinico, si posero l’obiettivo di comprendere ogni possibile causa dei danni celebrali anche indossando il casco. E una delle principali cause fu individuata nell’accelerazione rotazionale da impatto, foriera di danni al cervello.

Dopo un anno di ricerche Hans von Holst e Peter Halldin si unirono con l’idea della tecnologia MIPS, imitando il sistema di protezione del cervello stesso. Il primo prototipo di un casco dotato di MIPS fu testato presso l’Università di Birmingham nel 2000 e portò alla prima pubblicazione scientifica nel 2001, dimostrando che il MIPS poteva ridurre significativamente l’accelerazione rotazionale.

Come? Con una calotta inserita all’interno del casco e fissata a questo mediante elastomeri (i low friction layer) e capace di muoversi in ogni direzione per circa 10-15mm.

Tutti gli studi svolti hanno dimostrato una netta riduzione dei danni al cervello grazie alla drastica riduzione del movimento rotatorio. Ossia quel movimento che, sintetizzo, è una combinazione di energia rotazionale (velocità angolare) e forze rotazionali (dall’accelerazione angolare) che colpiscono il cervello e aumentano il rischio di lesioni cerebrali gravi.

Il sistema si compone di diversi elementi e non ne abbiamo uno principale: ognuno concorre lavorando in sincrono con gli altri.

Il più vistoso è sicuramente la calotta, non fosse altro per il colore (esiste anche in altre varianti cromatiche, comunque). Se però voglio trovare un cuore nel sistema lo identifico negli elastomeri, che da un lato sono fissati nell’Eps e dall’altro solidali alla calottina : sono loro che di fatto permettono il movimento omnidirezionale, fulcro della tecnologia Mips.

Questa la parte teorica, valida per tutti. Chi volesse approfondire ulteriormente potrà farlo attingendo alle tante informazioni presenti sul sito ufficiale Mips. Che è azienda affermata e che offre il suo prodotto a tantissimi marchi del settore.

Alla data di queste note la Mips Protection collabora con 60 marchi, ci sono 302 modelli di caschi con la loro tecnologia e oltre 5 milioni i pezzi prodotti.  

Noi adesso proseguiamo osservando il Mips applicato al nostro casco Z Alpha. Che è tecnologicamente identico a qualunque altro Mips inserito in qualunque altro casco ne faccia uso. Variano solo le aperture di aerazione per adattare ai diversi caschi.

A dominare la scena la calotta, che riveste la quasi totalità dell’interno.

Quattro i suoi punti di fissaggio alla struttura del casco, due anteriori e due posteriori.

Eccoli in dettaglio.

Dettagli che spiegano ma non tutto.

La tipica forma a U ci lascia intuire una certa mobilità e sappiamo che è proprio questa la caratteristica del Mips.

Quello che è difficile da scorgere perché parzialmente celato allo sguardo è come effettivamente la calotta è solidale al casco.

Per renderli meglio visibili ho scelto di contravvenire al divieto di non rimuovere la calotta.

L’ho fatto per completezza di informazione, voi evitate. Ve la tolgo io la curiosità.

Ecco così i nostri quattro elastomeri.

La foggia non è frutto del caso, non sono quattro semplici gancetti. Devono fornire elasticità, e a questo provvede il materiale; devono permettere omnidirezionalità e a questo provvede, appunto, la forma.

Sono fissati direttamente nell’Eps, la “schiuma” che è cuore di ogni casco da bici.

La parte inferiore ha la caratteristica forma a bottoncino, per agganciarsi alla calotta Mips.

Aggancio che avviene inserendoli negli alloggiamenti a U e qui in basso ne osserviamo in dettaglio uno nudo.

Concettualmente in definitiva un sistema semplice. E proprio per questo efficace.

La calotta è decisamente avvolgente e aderisce perfettamente; se così non fosse, non riuscirebbe a svolgere appieno il suo ruolo. Visto che ormai l’ho rimossa (tranquilli, poi l’ho rimontata…) ve la propongo nella sua interezza in modo possiate apprezzarne la forma.

Soprattutto nella vista laterale si nota come copi perfettamente la struttura del casco su cui è installata.

La calotte avvolge, gli elastomeri e i loro alloggiamenti la fanno ruotare: ma senza spazio libero si bloccherebbe all’interno del casco, vanificando tutto.

Così, ovviamente, non avviene. Possiamo notare l’ampia luce presente tra calotta Mips ed Eps; che naturalmente serve anche a favorire l’aerazione, non è tutta nella disponibilità del Mips. Deve potersi muovere, non danzare una giga…

Dopo questo breve ripasso su cosa sia il Mips e averlo visto all’interno (e pure all’esterno, oibò) del casco, possiamo finalmente indossarlo e pedalare.

Voltiamo pagina e saltiamo in sella.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Luigi Iannelli</cite>

    Ciao Fabio, utilissima recensione, come sempre… 😉 tra l’altro dopo la mia recente caduta capita proprio a “fagiuolo” visto che sono alla ricerca di un nuovo casco “protettivo”, principale criterio che sto considerando. Avevo visto il Briko Ventus che mi sembrava davvero niente male e poi il Manta Strale di cui ci hai già parlato ed ora mi sa che avrò da valutare anche questa opzione MIPS…. spero in ogni caso che qualunque scelta sia da considerarsi equivalente in termini di protezione e sicurezza.
    Proprio riguardo la sicurezza ed il corretto utilizzo del casco volevo chiederti un paio di chiarimenti.
    Scrivi che le orecchie devono essere perfettamente fasciate: cosa intendi? Che i cinturini del casco devono circondarle e non ricoprirle, giusto?
    Altra cosa: dalle foto vedo che indossi gli occhiali in maniera tale che le astine vadano al di sotto del primo cinturino del casco. Non sarebbe più indicato che le astine vadano al di sopra del cinturino? In caso di caduta non sarebbe auspicabile che l’occhiale voli via con facilità onde evitare danni al viso che potrebbero aversi nel caso in cui il cinturino del casco li tenga bloccati? Te lo chiedo perché qualche ciclista mi ha fatto presente questa eventualità (oltre ad averlo letto su qualche forum) ed anche perché nella mia recente caduta i danni maggiori li ho subiti causa occhiale (taglio sopracciglio e naso in corrispondenza del frame superiore e del nasello) che forse ha contribuito pure alla ferita al padiglione auricolare….:-( dico forse perché non ricordo assolutamente se questa volta indossavo gli occhiali sotto il cinturino del casco o sopra… insomma mi farebbe piacere avere una tua opinione sulla questione visto che si tratta di sicurezza ed è senz’altro di interesse per tutti, pur sapendo che alla fine nessun comportamento virtuoso potrà mai annullare completamente il rischio e che una caduta è pur sempre un evento unico ed imprevedibile e magari se l’occhiale vola via eviti il taglio al sopracciglio ma hai gli occhi a rischio…. insomma, meglio non cadere e, come hai ben scritto, evitare di testare direttamente il casco…:)
    saluti e grazie.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Luigi, Manta e Strale sono modelli diversi; tutti e due MET ma differenti.
      Forse una confusione di battitura e volevi dire solo Met Strale. Che è un ottimo casco considerato il prezzo bassissimo. Ma che ovviamente paga dazio in termini di comfort rispetto a caschi più raffinati.
      Il Manta è un modello particolare e gli sono affezionato perché fu lui a salvarmi la capoccia.

      Cinturino; abbracciare le orecchie, non passarci sopra.

      Occhiali; giusto indossarli sopra e non sotto. Purtroppo la mia è cattiva abitudine che ha ragione di essere nel fatto io sia miope. Quando indossi sempre occhiali da vista dimentichi di averli. Che c’entra? C’entra col fatto che anche gli occhiali da bici hanno clip da vista e ne ho rotti diversi facendoli volare: toglievo il casco senza prima sfilare gli occhiali, lanciandoli. Proprio perché quando indossi occhiali da 30 anni, dimentichi che stanno lì. Per questo ho preso l’abitudine a indossarli sotto il cinturino, l’unico modo per non romperli quasi a ogni uscita…
      Diciamo che regola di prudenza li vorrebbe sopra il cinturino, prassi economica (costano occhiali, clip e lenti da vista) me li fa indossare sotto.

      Fabio

Commenta anche tu!