Schwinn Fastback Rx, il test

Tempo di lettura: 7 minuti

Cercavo una bici per le mie esigenze quotidiane e questa Schwinn Fastback Rx si avvicina molto a quella adatta alle mie necessità; a vincere la titubanza è stato il prezzo stracciato, ampiamente sotto qualunque offerta o sconto avrei potuto trovare e questo ha reso possibile investire qualcosa per adattarla meglio a me e, soprattutto, l’aver speso poco mi aiuta ad accettare il rischio di lasciarla legata al palo. Rischio che con altre, Elessar in testa, proprio non riesco ad affrontare.

Usandola in configurazione originale ho scoperto una bici onesta, gradevole, equipaggiata con alti e bassi, molto comoda, lenta ma non piantata; modificata secondo esigenze mie mi sono ritrovato una bici quasi perfetta per i miei spostamenti urbani, avrei solo preferito una tripla; ma la spesa per la modifica sarebbe stata troppo alta e non giustificata per una bici che non so mai se ritrovo quando la parcheggio. Una spesa l’ho affrontata, anzi due: un portapacchi specifico e un nuovo impianto frenante. Ma basta chiacchiere, facciamo conoscenza con questa Schwinn così come offerta dalla casa; poi la vedremo in un successivo articolo modificata per renderla una commuter urbana più pratica.

Un marchio storico Schwinn, anche se della gloriosa casa americana è rimasto appunto solo il marchio, proprietà del gruppo Dorel. Ironia, a questa multinazionale fa capo anche Cannondale che ha in listino la CaadX a un prezzo triplo di questa Fastback (offerta a meno di 800 euro al cambio attuale ma uscita dal catalogo quest’anno, difficile trovarne ora) e, posso anticiparvi, le differenze nell’uso quotidiano sono minime. Alcune finiture sono persino migliori della cugina ben più costosa.

Mi piaceva l’idea di tenermi in casa una bici, o almeno un nome sull’obliquo, che tanta storia ha donato al nostro mondo a pedali. Alcuni amici che mi rimproverano scarsa attenzione e poca conoscenza per il mondo off-road sono caduti dalle nuvole sentendolo nominare, ignorando che la Mtb è nata modificando le cruiser prodotte proprio da questa fabbrica statunitense. A voler essere puntigliosi, molto lo dobbiamo ai francesi, per l’esattezza a Daniel Gousseau, un soldato che nel 1902 inventò il ciclocross; al termine del secondo conflitto mondiale furono sempre i francesi ad adattare le bici esistenti per la guida in fuoristrada. Ma è innegabile che senza Gary Fisher, Tom Ritchey e Joe Breeze e le loro Schwinn cruiser modificate non avremmo la mountain bike come la conosciamo oggi.

La bici mi è arrivata parzialmente montata per contenere le dimensioni del pacco; se mi fosse arrivata del tutto smontata sarebbe stato meglio, avrei perso meno tempo. O l’operaio aveva fretta di tornare a casa o era alle prime armi. Definirla male assemblata è fin troppo generoso. Ho dovuto rismontare quasi tutto e riassemblare con cura, provvedendo a registrare mozzi, trasmissione, freni, centrare le ruote e così via per ogni singola parte. Un lavoro tutto sommato semplice ma che ha richiesto tempo, circa tre ore. Più di quanto impiego ad assemblare un telaio da zero, ma è normale: si impiega sempre più tempo quando la bici è parzialmente montata perché devi prima montarla del tutto, vedere cosa non funziona, rismontare, sistemare e poi reinstallare. Ma è stata anche l’occasione per toccare con mano i dettagli e farmi una idea più precisa della qualità.

La bici è stata acquistata in taglia S, quella che più si avvicina alle mie misure. E’ una small molto generosa, con geometrie e quote decisamente surdimensionate in perfetta scuola yankee. Il piantone è corto, appena 430mm; l’orizzontale virtuale invece si allunga sino a 545mm; il che sommato all’attacco da 100mm mi ha portato ad essere circa 3 cm più lungo di quanto è giusto per me. Molto sviluppato anche il tubo sterzo che grazie ai suoi 150mm garantisce un dislivello sella manubrio quasi nullo, un vantaggio per uso e assetto a cui avrei destinato la bici. Abbastanza in piedi il piantone che registra un angolo di 72 gradi; ma a causa del carro lungo con la scatola movimento piuttosto avanzata ugualmente mi sono ritrovato troppo arretrato rispetto al mio stile di pedalata. Tutti problemi risolti attingendo ai ricambi presenti in microfficina. Ho sostituito il reggisella con una altro ad offset zero e l’attacco manubrio originale è stato soppiantato da un altro di soli 70mm. In questo modo ho ottenuto un netto avanzamento, mi sono “accorciato” la distanza dal manubrio e regolato un assetto ottimale per la guida in presa alta, quella da me più usata in città.

Ed ecco la bici montata, ma con tutti i componenti originali, prima delle modifiche che vedremo a breve.

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Lo sloping è evidente ed anche se non è una soluzione stilistica che incontra il mio favore (oltre a essere tecnicamente inutile, ma ne parlerò in futuro se non l’ho già fatto) su una bici a destinazione urbana è una comodità perché consente di scivolare in avanti quando ci fermiamo senza timore di dolorosi contatti e rende più agevole salire e scendere di sella quando incliniamo la bici perché salire scavalcando quando si indossa la grisaglia non è sempre facile…

Nella doppia vista frontale e posteriore si notano l’ampiezza delle estremità della piega e il carro coi foderi alti fortemente ondulati.

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La forcella tutta in alluminio moderatamente curva si innesta in un tubo sterzo molto sviluppato in rapporto alla taglia.

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Tubo sterzo, provvisto di serie sterzo semi integrata, da cui parte un orizzontale fortemente inclinato e di corposa sezione. Sulla parte superiore è indicato il nome del modello.

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L’obliquo ha forma tipica per questi telai in alluminio con sezione generosa che sfina avvicinandosi al movimento centrale.

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Il piantone a sezione circolare e adatto a ospitare reggisella da 27,2mm presenta un collarino removibile ed ha sviluppo molto ridotto.

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Il carro ha forma, dimensioni e soluzioni tipicamente fuoristradistiche.

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Come il sistema di innesto al telaio…

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…e i foderi alti molto sinuosi che consentono, a parità di lunghezza totale della bici, un migliore smorzamento delle asperità e maggiore trazione.

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Anche i foderi bassi presentano una moderata sinuosità.

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Le ruote sono di scarso livello, due mozzi sconosciuti a 32 raggi montati su cerchi AlexRims in versione per freno a disco; il contatto col suolo è demandato a una coppia di copertoncini Kenda da ciclocross in misura 700×35 provvisti di fitta tassellatura.

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Su questa bici è una dotazione accettabile visto il prezzo di listino che, come ho detto sopra, è inferiore agli 800 euro; a me è venuta meno e quindi ci passo sopra. Non le avrei accettate su una bici di ben altra fascia di prezzo e, ahimè, sono le stesse ruote che ho trovato di prima installazione su bici che sfiorano i 2000 euro.

L’impianto frenante è anch’esso votato all’economia con due pinze a comando meccanico proposte da Tektro, che fornisce anche i dischi. Le pinze sono le Lyra, con tiraggio studiato per leve freno stradali, i dischi da 160mm sia all’anteriore che al posteriore e dallo spessore assai ridotto che li porta a deformarsi con una certa facilità. Per fortuna è altrettanto semplice ripristinarli, usando un attrezzo apposito; la tecnica l’abbiamo vista in questo articolo.

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Il montaggio della pinza posteriore è in posizione arretrata e questo, lo sappiamo, genera sempre qualche difficoltà nell’installazione di portapacchi e parafanghi; mai vista una soluzione più brutta di questa piastra saldata alla forcella per ospitare la pinza anteriore.

Le pinze presentano un grosso pomello nella zona posteriore per la regolazione della distanza della pastiglia interna, fissa perché il pistoncino è singolo, ossia solo quello esterno è comandato dal cavo; ed è proprio regolando la tensione del cavo con il classico registro a vite che gestiamo la distanza anche di questa altra pastiglia.

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E’ una soluzione economica ma giustificata dal basso costo complessivo dell’impianto; non reagisce con prontezza alle regolazioni, c’è da lavorarci con pazienza. Una volta rodato il suo lavoro lo fa, seppure di malavoglia, e ho preferito la maggiore qualità degli Avid BB7 Road.

Il comparto trasmissione vede una guarnitura compact FSA Vero, innestata su un classico movimento a perno quadro a cartuccia sigillata.

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Una catena Kmc provvista di comoda falsamaglia la collega al pacco pignoni Shimano a 9 velocità con scala 11/32. L’orribile paracatena l’ho subito eliminato.

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Al forcellino removibile è assicurato un cambio a gabbia lunga Shimano Sora, serie 3500; in pratica quello che fino a due anni fa chiamavamo Tiagra e che resta, a mio parere, uno dei migliori prodotti della casa giapponese, sia per affidabilità che per prezzo contenuto.

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Stessa serie anche per il deragliatore, ovviamente per doppia, in versione a collarino.

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Il tutto è gestito da una coppia di comandi sempre Sora e sempre in versione 3500, anche loro altro non sono che i vecchi Tiagra a cavi esterni. Molto più comodi ed ergonomici dei Sora della serie 2300, quelli col bottoncino per la discesa di rapporto per capirci. I registri per la tensione cavo sono innestati direttamente sul comando, soluzione gradevole e pratica, io la preferisco ai registri a guaina. Qui è possibile perché sono comandi a cavi esterni.

Non mancano gli (inutili) indicatori di rapporto inserito.

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La piega è da off-road, anche se la curvatura verso l’esterno non è così accentuata come altre più blasonate.

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L’aspetto migliore è che l’apertura verso l’esterno parte dopo la zona di attacco dei comandi, senza determinare quell’effetto ad “ali di gabbiano” delle leve freno che spesso ne rende poco agevole l’utilizzo.

Non reca alcun logo del produttore, così come l’attacco manubrio di buona fattura e il reggisella.

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La sella presenta il carrello in squillante arancio, che richiama i motivi grafici del telaio e fa pendant con uno degli spessori dell’attacco manubrio. Troppo morbida per i miei gusti, adatta a tragitti brevi; il vantaggio è che può essere utilizzata senza ricorrere a pantaloni col fondello. Per questo alla fine anche se ho una sella migliore nuova pronta per essere installata ho preferito lasciare questa.

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Buona la dotazione di attacchi, con la forcella provvista delle comode bussole per un portapacchi e che, in alternativa, possono essere sfruttate per il parafango come abbiamo visto in questo articolo. In ogni caso sono presenti sia i fori filettati in corrispondenza dei forcellini e sia il classico foro nella testa della forcella. Nell’immagine in basso possiamo apprezzare la buona luce tra questa e la gomma.

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Non mancano gli agganci per parafanghi e portapacchi nemmeno al posteriore.

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Due parole su alcune finiture. Il cordone di saldatura è fin troppo evidente, non solo in zona sterzo ma su qualunque saldatura eseguita.

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In rapporto al prezzo di listino ci può stare; quello che non accettavo per esempio sulla CaadX che costa il triplo di questa Fastback, qui posso tranquillamente guardare con occhio benevolo. Se per questa bici avessero chiesto cifre superiori ai 1200/1300 euro posso assicurarvi che sarei stato molto meno generoso.

E visto che la cugina americana l’ho tirata in ballo, devo dire che questa Schwinn presenta alcuni dettagli meglio curati; roba di poco conto è vero, ma che mi sarei aspettato sulla bici più costosa e non ho trovato, non su questa tuttofare economica.

Per esempio i tappi a espansione in plastica per la chiusura del nastro manubrio e, finalmente, i fermaguaina in nylon a ferro di cavallo e non le orribili fascette stringifilo.

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Per le guaine ci si è rivolti a un produttore noto, anche se si è scelto la versione più economica.

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Di serie abbiamo una coppia di pedali flat con le cinghiette e i puntapiedi.

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I puntapiedi sono regolabili e all’occorrenza removibili; volendo si può sfruttare la piastra zigrinata collocata in punta.

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Insieme alla bici vengono consegnati alcuni utili accessori; un fermaguaina di riserva, una S per unire tra loro le guaine, qualche capifilo, il tappo in gomma per la brugola serie sterzo e i comodi spessori per variare la distanza delle leve freno.

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In dettaglio, gli spessori sono quattro; montandone due (quelli più grandi) si accorcia la distanza, aggiungendo gli altri due questa distanza diminuisce ancora.

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A completare la dotazione gli obbligatori per legge catadiottri (anche per le ruote) e campanello.

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Fin qui la mia solita lunga presentazione, ora è il momento di metterci in sella; il test vede la bici in configurazione originale, senza gli accessori che ho successivamente installato né le modifiche alla trasmissione e ai freni. Però reggisella e attacco manubrio sono stati cambiati subito, la bici mi risultava troppo grande per riuscire a pedalare con costrutto.

I circuiti di prova sono stati quelli miei soliti e prevedono ogni possibile situazione, moderato fuoristrada incluso; pavé e asfalto, salite ripide e discese a rotta di collo, altre salite più pedalabili e successive discese da affrontare con calma, misto stretto, sentieri battuti, sottobosco, strade bianche. Sole e pioggia si sono alternati.

Come tradizione inizio dal pavé, non fosse altro perché con lui mi imbatto appena lascio casa mia. E’ la situazione che, visto l’utilizzo cui ho destinato questa bici, mi interessa di più e che con mia somma felicità questa Schwinn ha risolto brillantemente. Il telaio ha una netta discendenza fuoristradistica, seppure amalgamata in salsa comoda, e le asperità della strada non rappresentano un problema. Il carro molto esteso, i foderi sinuosi, il suo collegamento al triangolo sono tutti elementi che consentono di smorzare nettamente le brutture della strada, compreso i micidiali tratti coi sampietrini saltati che creano l’effetto “whoops” capace di mettere in crisi anche tante Mtb. La forcella incassa ma distribuisce bene le sollecitazioni per tutta la sua lunghezza, aiutata credo anche del tubo sterzo ben esteso.

Nemmeno il telaio si presenta rigido, a dispetto di quanto si sostenga sui telai sloping; seppure compatto, e quindi teoricamente rigido, grazie a questa tecnica costruttiva, la poca lunghezza del piantone conduce ad avere un elevato fuorisella. E poiché il reggisella è sempre più morbido del telaio, alla fine la rigidità, anche nel caso fosse presente, viene diluita.

Tutto questo si paga, e si paga parecchio quando si decide di aumentare il passo. La bici risponde lenta, sempre. Non solo, come avviene di solito con telai analoghi, nei rilanci e nelle rapide variazioni di ritmo. Qualunque sia la manovra scelta appena si decide di pestare più forte sui pedali tutta la bici mostra inerzia, a volte appare più pesante dei 12,1 kg da me registrati. Colpa del notevole assorbimento di energia che trasferiamo dalle gambe al suolo e colpa senza dubbio anche delle ruote, pesanti e poco scorrevoli. Anche quando dopo un paio di settimane ho sostituito le Kenda da ciclocross con delle Continental Contact, lasciando inalterata la misura 700×35, la situazione è migliorata molto poco. Sicuramente due ruote di media gamma aiuterebbero, ma è una modifica che non ho preso in considerazione visto il costo, non giustificato dal principale (mio) utilizzo di questa bici.

L’evidente ritardo di risposta e la richiesta di parecchia energia per spostarsi in velocità tolgono molto del piacere di utilizzo di questa bici. Ma io guardo non solo ai valori oggettivi quanto soprattutto al rapporto tra questi e il prezzo richiesto per la bici. Quello che trovavo del tutto inaccettabile su una bici di prezzo elevato come la sua cugina (cugina visto che come detto il marchio fa capo alla stessa company) Cannondale CaadX qui posso giudicarlo con una certa magnanimità E non dimentichiamo che ho guidato il CaadX con due ruote di alta gamma: usandola con quelle di serie saremmo sugli stessi livelli.

Ovvio che con queste premesse una volta lasciati pavé e percorsi urbani alla ricerca di asfalto e strade aperte ogni velleità sportiva è stata immediatamente frustrata. Di fatto il percorso che mi porta alle mie salite di prova, e che uso per testare la capacità di risposta ai rilanci e ai cambi di ritmo, si è risolto in un lungo e lento trasferimento godendomi il panorama. Anche qui la qualità che più ho apprezzato è stata la grande comodità, sporcata però dalla sella decisamente poco adatta a lunghe percorrenze. E’ morbida, cedevole. Quello che va bene su brevi tragitti alla lunga si rivela invece faticoso e scomodo. E mentre ammiravo panorama e graziosa fauna autoctona, e credo questo sia il principale motivo per cui ho eletto questo tragitto a mio percorso di prova abituale, mi sono reso conto di quanto la guarnitura sia abbastanza inutile. La corona maggiore è fin troppo grande per una bici simile, per nulla votata a velocità e sportività. Certo, la scala pignoni molto agile la rende comunque utilizzabile, ma a parità di cassetta una corona più piccola sarebbe più godibile. E infatti l’ho cambiata, come vedremo in altro articolo.

Dopo la passeggiata di trasferimento sono arrivato ai piedi di una salita abbastanza dura senza grandi aspettative. Con altre bici almeno il primo tratto cerco di affrontarlo con la corona superiore sfruttando anche l’abbrivio che mi fornisce un breve tratto in discesa prima di aggredire la rampa. Qui non ci ho provato nemmeno, sono sceso sulla 34, mi sono assicurato di iniziare l’ascesa lasciando almeno due pignoni agili liberi per il tratto finale che è davvero duro e senza fretta, con cadenza regolare, ho intrapreso la scalata. Meno male che la conosco così bene e meno male che dietro ho potuto contare sul 32 finale perché, quando la strada cambia decisa la pendenza, mi sarei potuto trovare in difficoltà. Affrontando i dislivelli senza fretta, senza voler rilanciare l’andatura a tutti i costi ma lasciando che siano i pignoni agili a condurci in cima si arriva praticamente ovunque. Se ci si incaponisce (e confesso che in altre uscite di prova sono stato meno saggio) a voler adottare un piglio sportivo il prezzo richiesto è alto. Troppo alto per un ciclista di mezza età e poco performante come il sottoscritto.

La cosa più bella delle salite è che dopo, lo dico sempre, ci sono le discese. Tiri il fiato se vuoi oppure scendi a tutta se hai ancora gamba da spendere. In ogni caso ti diverti. Avendo risolto la salita con una certa calma, la gamba per lanciarmi in discesa mi è rimasta; e poi ci sta da mettere alla frusta i freni e capire la stabilità di forcella e telaio: e puoi farlo solo scendendo forte.

La bici è lunga, tutta lunga e il rake della forcella è più elevato di quanto uno sguardo fugace lascia supporre. Nelle curve ampie a veloci, grazie anche alle gomme larghe, scendere è un piacere. Grande stabilità e netta precisione dell’avantreno. Pronta la risposta nei rapidi cambi di direzione, meno precisa la tenuta in traiettoria nelle curve strette. Netto, ma proprio tanto netto, lo stantuffare fuori dalle curve rilanciando con pignoni piccoli. E’ stata l’unica occasione in cui ho usato l’11 finale, ma sfruttarlo appieno non è proprio semplice, la bici ondeggia parecchio al retrotreno con un fastidioso effetto “su e giù”, quello che appunto chiamo stantuffare, e alla fine molli un poco per rimettere la bici in assetto.

Anche se il comando cambio presenta la salita multipla di rapporto, la manovra di scalare e frenare in ingresso di curva non mi è mai venuta bene col sistema di cambiata Shimano e questo ha influito abbastanza sulle prestazioni globali.

Una guida rotonda e pulita rende la bici decisamente più godibile e sicura; come già in piano e poi in salita la condotta sportiva a nulla ha portato, anche in discesa il risultato è stato identico.

Il comportamento è direi classico, vecchia scuola. La bici sempre sul piatto della bilancia, quello che ottieni da un lato lo perdi dall’altro. Così la stabilità dell’avantreno in velocità paga dazio nelle manovre strette, dove è lento e poco reattivo. La grande comodità di marcia si fa ripagare da una notevole richiesta di energia per andare forte.

Però mi sono dimenticato i freni. Niente di che, anche dopo un buon rodaggio e una certosina regolazione (ma più di tanto non puoi, i registri vari non sono così sensibili) la frenata è nulla più che onesta. La modulabilità nella prima fase di escursione è appena accettabile, per ottenere spazi di arresto dignitosi c’è da strizzare forte. Il vantaggio è che non blocchi mai, e questo può essere un pregio per uso urbano. Complessivamente i cantilever che monto sulla mia Elessar sono di gran lunga superiori in ogni condizione di utilizzo e garantiscono spazi di frenata e modulabilità ben superiori. Quindi non è mai questione di tipologia di impianto ma solo della sua qualità.

Le cose potrebbero migliorare ricorrendo a pastiglie di miglior fattura di quelle di serie, ma io ho preferito affidarmi direttamente a un nuovo impianto frenante, la cui qualità mi è ben nota.

Vista la discendenza fuoristradistica e le gomme tassellate abbandonare l’asfalto alla ricerca di sentieri e boschi è stato naturale. Anche qui si fatica abbastanza, i sentieri si affrontano con facilità a patto di tenere un passo leggero. Si può tranquillamente restare seduti e scegliere rapporti agili, la bici segue fedele la traiettoria, la motricità è ottima (nel senso che la ruota posteriore è sempre incollata al terreno) e la comodità sempre elevata. Lasciando i sentieri battuti per addentrarsi nel bosco c’è da fare i conti con un avantreno poco pronto, scartare non è immediato, e la lunghezza della bici che si rivela impacciata tra gli ostacoli ravvicinati. Inoltre la poca prontezza dell’impianto frenante e la richiesta di forte pressione per lavorare obbligano a una continua guida in presa bassa e questo stanca le braccia più del dovuto.

Tracciamo un bilancio. Se guardassimo la bici in modo oggettivo, solo per ciò che è in grado di offrire il responso sarebbe ben misero. Se la rapportiamo al costo irrisorio a cui è proposta il giudizio cambia.

A una cifra modesta ci si porta a casa una bici in grado di condurci su qualunque tragitto, senza alcuna fretta e garantendo sempre un alto livello di comfort anche dopo ore sui pedali. Tranne per la sella che invece è proprio scomoda dopo una oretta e frullare le gambe. Per essere ancora più godibile avrebbe bisogno di una rapportatura più agile, la tripla sarebbe perfetta, e un impianto frenante di maggior caratura. La prima modifica non alzerebbe più di tanto i costi di produzione, magari affidandosi a una trasmissione 3×8 velocità, che sarebbe del tutto in sintonia con il tipo di bici e il suo comportamento. La seconda si, ma credo che molti ciclisti spenderebbero volentieri la differenza.

Difficile da decifrare la geometria e ricavarne poi un decente assetto. In qualunque taglia proposta l’orizzontale è lungo, troppo lungo in proporzione. E’ vero che agli americani così piace (e loro usano sempre una taglia in più di noi) ma la sostituzione dell’attacco manubrio con uno più corto è quasi obbligatoria; facoltativa la scelta di installare un reggisella con offset zero, ma io lo consiglio caldamente.

La trasmissione è perfetta nel funzionamento, la serie 3500 di Shimano è a mio parere una delle migliori mai venute fuori dalla casa giapponese, dolce e precisa; una volta regolata te ne dimentichi, tranne la periodica lubrificazione dei perni del pantografo del cambio, un suo punto debole.

Le ruote sono davvero scarse, accettabili su una bici da 800 euro circa, ma questo aiuta solo psicologicamente; nell’uso sapere che tutto costa poco non ti fa andare più veloce. Sostituirle potrebbe non valere la pena, a meno di non trovare qualche ottima occasione sul mercato dell’usato. Una coppia di ruote decenti parte da almeno 400 euro, la metà di quanto costa a listino tutta la bici. E alla fine migliora sì, ma non in modo eclatante, tale da giustificare l’esborso. Il telaio quello è e per quanto le ruote rivestono sempre notevole importanza, qui non potrebbero da sole mettere una pezza a tanta morbidezza.

La possibilità di essere equipaggiata con portapacchi e parafanghi la rendono più che una turistica una ottima bici da diporto leggero. Viaggi lunghi e col carico no, a meno di non prendere in considerazione l’installazione di una tripla e con guarnitura da Mtb. Con questa compact, anche se dietro arriva fino al 32, siamo ancora troppo duri. E la bici vuole rapporti agili, tirarne di duri e veloci è faticoso, molto più che su altre bici.

Con poche ed economiche modifiche può essere facilmente adattata a una maggiore vocazione urbana, dove la velocità conta molto meno del comfort e la capacità di smorzare le brutture della strada molto più della trasmissione a terra dell’energia.

Per restare su bici presentate qui sul blog, siamo distanti anni luce dal superbo comportamento della Rose Dx Team Randonneur, che però costa quattro volte tanto; non troppo distanti dalla Cannondale CaadX, che costa tre volte tanto e offre ben poco in più; dovrei aggiungere che siamo ben distanti anche dal comportamento della Surly Cross Check, ma siccome non ho ancora pubblicato il test, sorvolo.

In chiusura l’ultima domanda: vale i soldi spesi? Si, tutti. Perché sono pochi e perché se la si interpreta nel modo giusto diventa piacevole da usare. E’ l’unica bici che monta pedali flat nella mia personale scuderia e sempre più spesso mi capita di prenderla quando ho poco tempo e nessuna voglia di travestirmi da ciclista. Un paio di scarpette, una tuta o addirittura i jeans e via a passare un paio d’ore a girovagare senza meta, alla scoperta di zone che avevo dimenticato.

Che sia questa la ricetta della felicità a pedali? Non esageriamo. Ma uno spicchio di felicità si, come unica bici non farebbe proprio al caso mio; inserita tra le altre ha trovato presto una sua collocazione. E se non me la rubano prima, credo ci resterà a lungo.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Grazie Fabio per il bel commento su di un mezzo basico, dove ne analizzi ‘laicamente’ limiti, pregi e soprattutto utilizzo ottimale. E poi anche perchè effettivamente, la felicitá, può essere spesso una piccola cosa.
    🙂

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Adriano, come scrivi tu è un mezzo basico: ma anche il prezzo, mentre troppe volte ho avuto tra le mani bici di analoga qualità però offerte a prezzi ben maggiori.
      Il mio rammarico è che non è più a catalogo e non è semplice procurarsene una; perché come seconda bici da usare senza pensieri è davvero ottima. Come bicicletta in assoluto no, ha tanti limiti e li avverti. Ma se pensi a quanto poco costa diventa difficile trovare di meglio a quelle cifre.

      Fabio

  • <cite class="fn">Francesco</cite>

    Una bici su quella fascia di prezzo (listino ) è la KHS Urban Extreme (quelle 2015 e 2016), a me piace molto .
    Mozzi a parte, le ruote le bocci per la pesantezza e per la scarsa qualità con cui trasmettono la potenza ?

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Francesco, sulla carta la Khs non è male, peccato si ostinino a non offrire la tripla che su queste bici montate 2400 (penso alla Kone Rove Al che costa uguale), sarebbe assai utile.
      Le ruote di questa Schwinn sono pesanti, molto; e i mozzi di poca qualità. Sono ruote che è facile trovare anche su bici ben più costose ma questo non le rende migliori. Con questi prezzi le accetto pure, le cambierò se mi capiterà una ottima occasione e avrò denari da spendere; inaccettabile quando le ho viste montate, uguali, su alcune ciclocross da 1500/1800 euro di listino.

      Fabio

  • <cite class="fn">Francesco</cite>

    La mancanza della tripla è attenuata dal 32 dietro , ma con 8 velocità la cassetta ha tanti salti. Poi il 50/11 ha senso come rapporto su una bici del genere?Forse ci vorrebbero anche guarniture meno corsaiole cosi da eliminare le complicazioni di una tripla .
    Saluti
    Francesco

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Esatto Francesco, il 32 attenua ma non risolve; l’11 è di fatto inutile e la compatta eccessiva su queste bici, poco adatta al loro principale utilizzo. Una doppia da Mtb sarebbe molto meglio ma a perno quadro ne fanno solo una o due mi sembra e comunque costano. Altrimenti bisogna andare su quelle a perno integrato e i prezzi salgono. Oppure fare come ho fatto io, ossia prendere una tripla da Mtb che avevo già (col paracorona, ottimo in città con abiti civili), eliminare la corona più piccola e girare con la 44/32 che non è malvagia come soluzione. Inoltre le triple da Mtb per 9v ormai si trovano a cifre irrisorie ed eliminando la corona minore non c’è necessità di acquistare nemmeno un altro movimento centrale, tutta la guarnitura si sposta verso l’interno e ti ritrovi pure con una linea catena quasi esatta. A breve ne parlerò.

      Fabio

  • <cite class="fn">darioedante</cite>

    Bella recensione, ma forse sei abituato troppo bene, o io troppo male.. 400 euro una coppia di ruote di media gamma? E io che volevo spendere 200 euro per una coppia di mavic 319 su mozzi xt. Sono cosí scarse?

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Né l’uno né l’altro Dario, i listini non li faccio io, purtroppo.
      Quelle che vuoi prendere non sono scarse ma nemmeno le possiamo definire due ruote top; oneste ruote da battaglia, e se uno deve cambiare cerca di migliorare altrimenti spesso non ne vale la pena.

      Fabio

  • <cite class="fn">Diego</cite>

    Complimenti X articolo.Iniziato upgrade nella direzione opposta alla tua.Per me è la prima bici.Prese ruote usate Notubes Ironcross.Gomme Scwalbe G-One 38mm.Utilizzo misto asfalto-sterrato con asperità media X 3 uscite settimanali 50km.Cosa consigli X alleggerire ulteriormente(reggisella-sella-pedali-manubrio?).Nota dolente i rapporti,ho pensato di sostituire corona 50 con 46,cassetta con 12-36.E’ possibile?Nel caso devo allungare la catena?Molte grazie comunque la recensione mi è stata di grandissimo aiuto.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Diego, ottima scelta per le ruote. Mentre per il peso non hai granché su cui agire, la piega puoi lasciare la sua (tra l’altro è comoda) l’attacco cambialo se hai bisogno di variare l’assetto. Sella e reggisella invece si, ma in versione leggere costano. I rapporti devono fare i conti coi comandi, cambiarli per passare a 10v è una spesa non giustificata su questa bici. Il pignone da 36 il Sora che abbiamo non lo supporta, la cosa migliore è lasciare la cassetta originale (o costruirne una con pignoni sfusi partendo dal 13 in modo da limitare i salti) e acquistare una doppia da MTB. Esiste qualcosa a perno quadro, così eviti di dover cambiare anche il movimento, altrimenti una Shimano Hollowtech, magari una slx con il suo movimento e sei posto con meno di 100 euro, cercando tra le offerte online. Ne vedi una pescando in “Officina”, uno degli articoli sul sistema Hollowtech.

      Fabio

  • <cite class="fn">marco bernardi</cite>

    Ciao Fabio,

    ho ritrovato questo articolo sulla Schwinn Fastback Rx…una domanda rispetto alla taglia S che ho anch’io: essendo alto 1,78 la lascio così o devo apportare qualche modifica?

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Marco, più di montare un attacco manubrio poco più lungo non hai altro margine.
      Se ti ci trovi bene, anche se forse è un po piccola per te, lascia tutto come sta.

      Fabio

  • <cite class="fn">alessandro</cite>

    Ciao, bell’articolo. Ne avevo due di queste bici (era la vendetti, forse ti ricordi). Su quella rimasta vorrei montarci un monocorona sram apex 11v (la spesa, circa 400 e, è parzialmente giustificata dal fatto che mi serve l’attuale gruppo per un altro progetto). Credi che sia fattibile? Non riesco a capire che movimento centrale dovrei comprare…

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Alessandro, nessuna controindicazione tecnica nel passaggio a monocorona.
      Nel tuo caso ti serve un normale movimento centrale BSA GXP, visto che come sai il perno delle guarniture sram non è costante come shimano.

      Fabio

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