Contro lo smog piano o veloce?

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In questi giorni è stato pubblicato lo studio di un docente della Università della Columbia Britannica: ha cercato di stabilire la migliore velocità di pedoni e ciclisti per limitare gli effetti nocivi dell’esposizione allo smog cittadino.

Fino ad oggi l’equazione preferita da altri studi in analoghe ricerche svolte in differenti università era che più vai veloce meno smog assumi, basandosi sull’elementare (e semplicistico) assioma per cui basta ridurre il tempo di esposizione.

Come tutti gli studi di laboratorio privi di effettivi riscontri sul campo questa equazione è una colossale sciocchezza, e lo sa chiunque di noi pedala in città, soprattutto quelle collinari.

Pedalando veloci i nostri polmoni chiedono più ossigeno quindi incameriamo più smog. Lo avessero chiesto a noi pedalatori, le varie università avrebbero risparmiato bei quattrini.

Ma nemmeno il recente studio canadese è esente da difetti. Ha il merito di aver affrontato la questione da altra prospettiva ed è lo stesso ricercatore ad ammettere che i suoi dati oggettivi, perché frutto di un modello matematico, mostrano limiti nell’applicazione soggettiva, ché ogni ciclista è fisicamente diverso da un altro.

E con onestà intellettuale che gli riconosco ammette anche che la velocità media da lui indicata è relativa, perché non tiene conto delle continue soste e partenze tipiche della pedalata urbana. Sappiamo tutti infatti che per partire dobbiamo vincere l’inerzia e questo richiede uno sforzo superiore a quello necessario a mantenere l’andatura. Più è pesante l’insieme bici-ciclista e maggiore la pendenza della strada su cui dobbiamo partire tanto più grande sarà lo sforzo e quindi la richiesta di ossigeno. Che, ricordo, non è la bella aria pulita di alta montagna ma quella pestilenziale e satura di polveri sottili delle nostre città.

Io aggiungo che anche la città in cui si pedala incide. Una cosa è muoversi lungo le perpendicolari della Grande Mela, trafficata quanto vuoi ma senza uno straccio di salita degno di questo nome e con perfetta pavimentazione, e una altra in una metropoli collinare dove il traffico riesce nel miracolo di trovare un minimo ordine nel caos e il pavé ti succhia ogni energia.

E se anche l’ingegnere autore dello studio cerca di completarlo stabilendo diverse velocità a seconda di età e sesso, restano troppi limiti perché i dati abbiano valore nell’applicazione concreta e universale. Che è, o dovrebbe essere, lo scopo di ogni studio eseguito secondi i principi fondamentali del metodo scientifico. Che saranno pure stati elaborati oltre un millennio fa dal matematico arabo Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, ma sono tuttora validi.

Lasciamo un momento le strade urbane e andiamo con la mente ai nostri giri randagi. Almeno una volta a ognuno di noi sarà capitato di essere superato in salita, mentre ci stiamo dando dentro, da un puzzolente veicolo pesante che ci avrà spruzzato addosso ogni frutto della male avvenuta combustione interna del motore. Ricordate come vi si è mozzato il fiato? La gola che brucia? Il senso di nausea? Se fossimo stati a piedi e non sotto sforzo avremmo provato fastidio, forse un colpo di tosse ma non tutto lo spettro di sgradevoli controindicazioni che abbiamo sperimentato in bici.

Lo sforzo è l’unico paradigma di cui tener conto.

Io non ho facoltose e munifiche università Nord americane alle spalle, non ho un laboratorio per i test e nemmeno le capacità matematiche per elaborare un modello. Però ho la trentennale esperienza di chi ogni giorno inforca una bici in città. E come ho ripetuto spesso, quando parliamo di ciclismo urbano non siamo noi a dettare le regole. Nel ciclismo sportivo o turistico decidiamo bici e passo secondo le nostre necessità e gusti. Nel ciclismo urbano è la città stessa a decidere per noi e più di tutto contano i percorsi abituali. Loro decideranno bici, passo, abbigliamento, accessori. Tutto. Noi possiamo solo limitare i danni.

Stabilire una velocità media adatta a fasce di età e sesso è quindi una sciocchezza. Troppe variabili perché ciò che va bene per uno sia adatto anche all’altro. Si diventa come quelli che straparlano di tabelle e rapporti da usare buoni per ogni ciclista, senza tener conto degli innumerevoli fattori in gioco.

Ma qualche suggerimento valido più o meno per tutti e frutto dell’esperienza possiamo ricavarlo.

Il primo parametro è la città. Non è paragonabile pedalare per pochi minuti nel pianeggiante centro di qualche cittadina di provincia con l’affanno richiesto a chi affronta i colli della Capitale. E siccome nel primo caso l’unico suggerimento è “fate come volete, per così poco tempo e minimo sforzo c’è poco da discutere” lo posso tranquillamente cancellare e rivolgermi a chi invece affronta il caos delle metropoli; e se sono pure collinari è più difficile.

Il secondo parametro è ricavato nella categoria di ciclisti metropolitani ed è il percorso abituale. Trattandosi per lo più di pendolarismo casa/lavoro la ripetitività rende più semplice la strategia.

In città, e da questo momento in poi mi riferirò sempre e solo a città densamente trafficate e difficili da pedalare, dove quindi lo smog è maggiore come maggiore il tempo di permanenza in sella, l’obiettivo primario è ridurre lo sforzo.

E non per non stancarci o non sudare (importante per non arrivare al lavoro indecenti ma ne abbiamo già parlato) ma per ridurre la richiesta di ossigeno. Più i nostri polmoni chiedono aria più smog ricevono.

Lo sforzo dipende dal percorso ma a parità di percorso è soggettivo. Età, stato di forma, allenamento e così via sono tutti elementi che modificano la quantità di energia richiesta tra ciclisti diversi. Io salgo alla città collinare senza sforzo perché vado in bici da anni, mi alleno con una certa costanza e uso qualche stratagemma; un mio amico prende la metropolitana sennò crepa.

Questo semplice parallelo chiarisce che una regola specifica valida per tutti è impossibile; nessun consiglio su quale rapporto esatto usare, velocità da tenere, cadenza da rispettare.

Però sono i tre elementi su cui lavorare uguali per tutti.

Il trucco è bassa cadenza e rapporti leggeri. Trovare il punto di equilibrio è soggettivo.

Una volta che ci siamo convinti che la velocità è poco importante, perché in città usiamo la bici come mezzo di trasporto e non per allenamento, diventa tutto più facile. In linea teorica, perché la pratica richiede una lunga fase di adattamento, provando e riprovando finché ognuno non avrà accumulato l’esperienza necessaria per comprendere il miglior equilibrio tra cadenza e rapporti usati in base al percorso.

Tutti sappiamo che pedalare con alta cadenza è la tecnica migliore e probabilmente la forma di allenamento più importante; in città no, l’esatto contrario. Alta cadenza significa una forte attività aerobica quindi una maggiore richiesta di ossigeno.

E tutti sappiamo anche che usare rapporti duri richiede una forte attività anaerobica, che per il suo sforzo intenso anche se non prolungato esige al pari una buona ossigenazione.

Concetti importanti in fase di allenamento, ma qui non ci stiamo allenando: cerchiamo di limitare i danni da smog, che significa trovare la strada per farne entrare il meno possibile nei polmoni.

La pedalata cittadina che riduce la richiesta di ossigeno e quindi l’entrata di smog nei polmoni è quella dove il ciclista terrà una cadenza bassa usando rapporti leggeri ma non troppo agili.

E ora tutti si staranno domandando quale è la cadenza e quali i rapporti. Ma come detto non è possibile ricavare una regola valida per tutti, perché per un ciclista pedalare a 60 Rpm (rivoluzione per minuto, l’unità di misura della cadenza) con un 50 anteriore e un 21 posteriore può benissimo corrispondere a quanto necessario. Per un altro ciclista usare quella stessa cadenza e rapporto potrebbe significare pedalare troppo veloce o duro.

Per questo è necessario “allenarsi” ma non come si farebbe per l’attività sportiva: l’allenamento deve essere volto a trovare il miglior equilibrio. Affanno, stanchezza, battito che accelera sono tutti chiari sintomi che il passo cittadino è sbagliato.

Un buon punto di partenza è ridurre di un terzo la cadenza e salire di tre o quattro pignoni a parità di corona sullo stesso percorso affrontato con piglio sportivo. Semplifico con un esempio. Rettilineo pianeggiante che normalmente affrontiamo a 90 Rpm con un 50-16? Bene, proviamo a farlo a 60 Rpm e con il 50-21 o 23. E vediamo come reagisce il nostro organismo. Ma ripeto, solo come punto di partenza, poi ognuno dovrà trovare la propria strada. Ed è più semplice lavorare prima sui pignoni per farsi una idea.

E a proposito di strada: anche la scelta del percorso è importante. Tra due o più itinerari sempre meglio scegliere quello meno insidioso anche se più lungo. Tra due salite, una breve e ripida e l’altra più lunga e dolce, meglio sempre la seconda. Tra una arteria più breve ma più trafficata e magari ricca di semafori o incroci (che imporrebbero frequenti soste e partenze, quindi maggior sforzo) meglio una strada più lunga ma meno trafficata e più scorrevole.

Quando vado al lavoro non torno mai per la stessa strada dell’andata. Perché mentre vado sfrutto la leggera discesa per non pedalare quasi anche se significa per me affrontare strade strette e piene di pedoni distratti, soprattutto con l’avvicinarsi del Natale quando la zona diventa patria dei turisti; ma importa poco se mi devo fermare spesso, non faccio sforzi perché mi agevola la pendenza favorevole. Al ritorno scelgo un itinerario più lungo, perché le continue soste e partenze che ho affrontato all’andata qui dovrei combatterle in leggera salita, quindi più sforzo. Preferisco qualche chilometro in più ma dove posso pedalare in scioltezza, bassa cadenza e rapporto leggero. Un altro trucco è quello che descrissi parlando di un diverso problema che affrontiamo durante l’uso cittadino della bici: la sudorazione. Vale anche per l’ossigenazione, quindi approfittiamo sempre di ogni minima pendenza favorevole per smettere la pedalata, prestando attenzione a non scendere troppo di velocità per evitare lo sforzo di riprenderla.

Usare la bici in città ci consente di ridurre i tempi di percorrenza rispetto all’andare a piedi e, almeno nel mio caso, anche nel confronto con il trasporto pubblico e lo scooter. Ma ci espone anche a una moltitudine di rischi e lo smog è solo uno di questi. Se sono sempre stato critico verso la parodia di ciclistica della mia città e i provvedimenti per il traffico privato è perché applicati senza alcuna esperienza e volontà di rendere la città più a misura di bici, come invece professato a gran voce dall’amministrazione. Le principali vie di comunicazione verso i luoghi dove più alta è la concentrazione di uffici pubblici e privati e quindi i luoghi di lavoro son diventate smodatamente più trafficate: quindi più pericolose e con un netto abbassamento della qualità dell’aria. Ossia l’esatto contrario di quanto sarebbe servito ai ciclisti. Ho modificato i miei percorsi, allungando oltre misura quando prima era più semplice.

Quindi, in definitiva, il totem della velocità dobbiamo rimuoverlo. Organizziamoci per uscire prima, tanto alla fine si tratterà di una manciata di minuti perché in città le percorrenze sono basse, calibrando gli orari sulla media che riusciamo a tenere. Una media che metteremo a punto dopo diverse prove, sia di percorso che a parità di questo con differenti cadenze e rapporti.

Ora, privo di esami di laboratorio come sono non posso dirvi quanto smog in meno assumeremo: solo che ne respireremo di meno. E poiché tutti concordano che fa male, meno ce ne tocca meglio è. Giusto?

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