Bike sharing: è davvero un successo?

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Da poco è disponibile il rapporto sulla mobilità condivisa, una ampia e dettagliata analisi messa a punto dall’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility.

Chi è? Rispondo leggendo dalla pagina ufficiale: l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, lanciato nel settembre 2015, è promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. L’obiettivo dell’iniziativa è creare una piattaforma di collaborazione tra istituzioni pubbliche e private, operatori di mobilità condivisa e mondo della ricerca per analizzare, sostenere e promuovere il fenomeno della Sharing mobility in Italia.

Attenzione: mobilità condivisa, quindi non solo bici condivise ma anche auto e qualunque altra forma di mobilità sostituisca l’uso esclusivo.

Bene, chiarito questo possiamo dedicarci alle nostre due ruote a pedali; condivise naturalmente.

Ho appreso della pubblicazione del rapporto sulla Mobilità condivisa per il 2017 come tanti di voi: dalla stampa.

E da giornalista con troppi anni di iscrizione all’albo non mi sono fidato dei titoli, preferendo andare alla fonte; ossia leggere il rapporto per intero.

Perché quello che ha fatto squillare il campanello di allarme attivando i pochi neuroni che mi sono rimasti vigili è stato il leggere che il bike sharing in Italia è un successo.

Ma davvero? In Italia? Cioè tutto il suolo patrio? Siamo sicuri?

Nel dubbio, la prima cosa è affidarsi ai numeri. Che sono certi per definizione.

Così scopro che l’Italia è il primo Paese Europeo per numero di bici in condivisione: opperò!

Al 2017 avevamo a disposizione ben 39.500 bici da dividerci a piacimento. Anche tenuto conto che qualcosa nell’anno successivo è andato perduto perché alcuni operatori hanno lasciato, resta un bel primato.

E allora perché ho titolato col punto di domanda? Perché sono un vecchio brontolone o perché ho sempre avuto la fissa di attenermi ai fatti e non alle interpretazioni?

Io propendo per la seconda.

Perché se bado ai fatti, l’Italia avrà pure il primato di bici in condivisione: ma non può certo fregiarsi del titolo di Nazione Bike (sharing) friendly, come tanti titoli sulla stampa generalista hanno voluto far intuire.

Torniamo ai numeri: in Italia abbiamo oltre 8.000 Comuni (troppi, ok, comunque lì stanno) e solo 265 hanno un servizio di bike sharing. Ossia poco più del 3% del totale.

Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: 265 non sono pochi in una Nazione con 20 capoluoghi regionali e non più di 80/100 città di medie e grandi dimensioni. Insomma, da noi abbiamo anche Comuni più piccoli di un quartiere; in alcuni i residenti sono meno di quelli presenti in tanti condomìni non troppo affollati, non è il caso di sottilizzare.

Ok, io però continuo la lettura e scopro che il 70% delle bici in condivisione scorrazza in soli quattro Comuni.

Quattro; ah.

Leggo ancora più in dettaglio e scopro che parliamo di Milano, Torino, Firenze e Roma.

Meno male, mi dico, almeno sono metropoli (beh Firenze non proprio…) quindi un buon numero di cittadini è servito.

La consolazione dura poco, giusto il tempo di scendere al rigo successivo. Che mi informa delle percentuali.

Milano da sola si pappa il 44% delle bici condivise, Torino il 13%, Firenze segue con il suo 8% e Roma (per inciso, la Capitale e cuore amministrativo del Paese) sfigura col suo misero 5%.

Il restante 30% delle bici sono variamente distribuite nei restanti Comuni. Dove in pochi casi sono sufficienti in rapporto alla popolazione, nella restante maggioranza rappresentano al più una aspirazione.

Altro dato inquietante, nel caso fosse ancora una volta necessario dimostrare che l’Italia è divisa in due: il 76% per cento delle bici è localizzato al Nord e solo il 7% al Sud. Il resto al centro.

Messa così possiamo ancora dire che l’Italia è il paradiso del bike sharing? Non credo

E del resto l’ottimo studio proposto dall’Osservatorio sulla mobilità condivisa (scusate, preferisco tradurlo) paga pegno perché, come è naturale in ogni ricerca statistica, la sua pubblicazione avviene a distanza rispetto al periodo preso in esame. A bocce ferme da tempo, diciamo così.

Infatti nel calcolo del parco circolante sono state conteggiate tante bici di operatori che si sono inseriti sul mercato a fine 2017, per abbandonarlo poco dopo.

Ma al di là delle effettive bici disponibili, rilevo che non è questo ciò che interessa; non è questo che fa la differenza.

Quello che emerge è un quadro desolante, con la quasi totalità del Paese incapace di dotarsi di una qualunque struttura di bici condivise o attrarre operatori esterni.

La fallimentare esperienza del comune di Napoli, città dove vivo e lavoro, ne è chiara dimostrazione. Milioni di euro buttati per favorire gli amici dell’amministrazione e far gonfiare il petto a favore di telecamera al sindaco. Tutte le minuscole sono volute.

Consola invece l’aumento continuo del parco circolante privato, segno che sempre più persone scelgono di lasciare l’auto per pedalare felici.

Con benèfici effetti sulla salute, sui conti pubblici (è assodato che chi svolge attività fisica costa meno al sistema sanitario) e, non da ultimo, sulla nostra paziente Madre Terra.

E consola che seppure l’Italia non sia il paradiso del bike sharing così come dipinto da stampa frettolosa, resta, pur con tutti i suoi limiti, appetibile terra di conquista per la mobilità condivisa.

E in questo caso, lasciatemelo dire, è buona cosa farsi conquistare.

Vi lascio col link allo studio, per chi volesse approfondire.

Buone pedalate, condivise se volete.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Michele</cite>

    Ciao Fabio da giugno 2018 sì e aggiunta bologna con oltre 2200 bici da condividere..
    Certo nel totale rimane sempre poco.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Michele, come specificato lo studio fa riferimento alla situazione sino al 2017. Manca chi si è aggiunto dopo, c’è chi ha lasciato quest’anno. Però più che il numero di bici, che è comunque buon segno, sconcerta la concentrazione insieme al divario nord sud. C’è ancora tanto da fare.

      Fabio

    • <cite class="fn">supu</cite>

      E c’é da aggiungere che la partenza a Bologna è stata col botto: in questi primi mesi un gran successo. In questo caso l’operatore è Mobile. Speriamo solo che non arrivino anche qui i soliti deficienti che si divertono a buttare le bici nei canali per aver qualcosa da pubblicare su YouTube.

      • <cite class="fn">supu</cite>

        Correzione: “Mobike” non “Mobile”. Dannate correzioni automatiche; mi introducono sempre più errori di quanti me ne correggano.

      • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

        Si narra che durante una parata un suo estimatore incitò de Gaulle con un “Mio generale, morte ai cretini”; senza batter ciglio il generale rispose “Il suo programma è troppo ambizioso”.
        Io parafraso e ti rispondo “Caro Michele, la tua speranza è utopica”.

        Fabio

  • <cite class="fn">Michael</cite>

    Ciao Fabio, ottima analisi e grazie per la segnalazione che essendo in vacanza mi sarebbe andato perso. Vorrei solo aggiungere che non è sicuramente un fenomeno italiano il”successo” di bike sharing o Di infrastrutture “per bici”. È abbastanza comune. Se hai sette minuti, questo video parla di un paese molto simile in certi aspetti: https://youtu.be/VdnESwpY7ps

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Michael, grazie per il link al video.
      Hai ragione nel ricordare che il successo (ma io parlerei di “voglia”) di mobilità sostenibile, che sia condivisa o meno è fenomeno globale. Se poi entriamo nello specifico delle bici, tanti si potrebbero stupire nel vedere quanta diffusione hanno le biciclette in Paesi da noi geograficamente lontani e dove il clima non aiuta. Penso ad esempio alla Thailandia, dove tra l’altro il re è appassionato di ciclismo, che ha profonda e effervescente cultura ciclistica. O la Colombia, dove pedalare è ritenuto più bello che prendere a calci un pallone.
      Ma c’è il ma e un indizio. Il ma è che qui la notizia è lo studio di un organismo nazionale con riferimento solo all’Italia; l’indizio è la categoria di pubblicazione di un articolo, nel nostro caso “pensieri su due ruote”. Ossia il posto dove colloco gli articoli di colore o che lanciano una notizia. Senza lunghi approfondimenti, quindi prendere in esame il fenomeno a livello internazionale non avrebbe avuto senso qui, dove cerco persino di essere breve.

      Fabio

      • <cite class="fn">Michael</cite>

        Si, forse mi lascio trascinare troppo con la mia reazione. Sono ormai abituato alle “eh, ma perche’ qua siamo in Italia!”. Che non mi stanco a rispondere che non c’e’ niente di eccezionale nei problemi Italiani con la mobilita’ o ciclismo come trasporto nello specifico. Diventato un automatismo 🙁
        Non per caso uso sempre stati uniti come un paragone. Hanno lo stesso difetto culturale di dipendenza da auto privata come status sociale. Che io considero la radice del tutto il male 🙂

        • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

          Ma no, fai bene perché ampli il punto di vista; che giocoforza devo mantenere sul pezzo, altrimenti verrebbe fuori un reportage da 12000 parole e ora come ora proprio non mi andrebbe di lavorarci. Però lo farò, quello della mobilità ciclistica (e della sicurezza) è argomento a cui tengo e che ho trascurato perché ho dato troppo spazio ai test. Ma intendo ridurli, così potrò scrivere anche d’altro.
          Fermo restando che i vostri interventi sono utilissime integrazioni

          Fabio

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