Bike sharing a Napoli

Tempo di lettura: 3 minuti

Da un paio di mesi è partito nella mia città il progetto bike sharing, tutt’ora in fase di sperimentazione, gratuito per chi si iscrive.

Non so una volta terminata la sperimentazione il progetto cosa prevede per l’aspetto economico, per ora non trovo traccia sul sito dedicato.

Siamo nella fase dei test, quindi sarò più elastico; anche per non passare per il solito brontolone cui va bene nulla.

Vediamo prima come è articolato il servizio, stavo per scrivere “funziona il servizio” ma mi sono trattenuto, il verbo avrebbe potuto tradire l’interpretazione con la sua ambivalenza…

Una serie di postazioni dove sono custodite più biciclette; iscrivendosi si ha diritto a utilizzare per massimo trenta minuti, anche più volte al giorno, una bicicletta.

Che deve essere ricollocata nel suo stallo entro questo termine, pena (al terzo sforamento) il blocco dell’iscrizione; che potrà essere immediato se si superano i 61 minuti senza aver restituito la bici; fino alla denuncia alla autorità giudiziaria se i pedali non sono ancora stati messi a riposo trascorse cinque ore.

In ogni caso è tutto specificato nelle condizioni di contratto, scaricabili dal sito

Lo scopo di qualunque progetto di bike sharing è favorire la mobilità privata ecocompatibile, come usa dire oggi. Se usi il prefisso eco sei un vero progressista radical chic e noi a queste cose ci teniamo.

Ops, scusate, ho detto non sarei stato il solito brontolone; ok, mi rimetto in carreggiata, ma non in ciclabile. Lo sapevo, ci sono ricascato, vabbè.

Dieci postazioni, cento biciclette, calcoli eseguiti dalla ditta che si è aggiudicata l’appalto indicano che i 30 minuti sono più che sufficienti per recarsi da una postazione all’altra.

Non posso dargli torto, ho visto le postazioni, dove sono collocate e calcolato più o meno le distanze. Anche a voler ammirare il panorama, le vetrine, le fanciulle che passeggiano, fermarsi per un caffè, telefonare alla moglie/amante/fidanzata (non per forza in quest’ordine e non per forza a tutte e tre; ricordate di apostrofarle tutte con identico vezzeggiativo, eviterete pericolose confusioni) e persino concedersi una sigaretta dopo il caffè e le telefonate, beh, in 30 minuti hai voglia a percorrere i pochi metri di distanza tra due vicine stazioni di scambio.

Ma siamo in fase sperimentale, sarò più elastico, quindi inutile puntare il dito su ciò che non funziona, sarà sicuramente rivisto quando la sperimentazione terminerà.

O no? Perché, scusate, io ci provo a essere elastico, progressista, radical chic, tollerante e tutto quello che volete, ma chiunque abita in questa città e ne conosce la caratteristiche si rende subito conto che questo bike sharing, così come è adesso, serve a una cippa.

Ah, finalmente: l’ho detto.

Dieci stazioni per cento biciclette e durata massima della pedalata 30 minuti.

L’unica cosa che hanno imbroccato, forse, sono i 30 minuti, sempre se vuoi anche telefonare/caffè/sigaretta. Ma per come hanno collocato le postazioni di scambio (ben cinque racchiuse in un fazzoletto il cui perimetro percorri in dieci minuti a piedi) era meglio se allungavano i tempi, a questo punto ti prendi la bici per farti una pedalata rilassante.

Le postazioni servono solo una ristretta porzione della città, che comprende alcune zone del centro storico, le tradizionali vie dello shopping (pedonali) e un parziale accesso al lungomare vandalizzato.

Solo due presentano qualche parvenza di logicità, una in prossimità della stazione Centrale e l’altra associata a un parcheggio intermodale (intermodalità teorica, ma lasciamo perdere) all’ingresso della zona est della città.

Il centro storico in bici ve lo potete scordare (e passatemi l’uso gergale del verbo) perché le strade sono impercorribili a pedali a causa del manto, strette e stracolme di pedoni.

Le stazioni, tante, in rapida teoria nella zona commerciale della città sono inutili.

Per esempio, tre a brevissima distanza e in corrispondenza di altrettante fermate della metropolitana, servite dalla stessa linea. Ergo, che faccio? Scendo alla stazione Dante, inforco la bici, percorro 400 metri, poso la bici allo stallo della stazione Toledo, riprendo la metropolitana, scendo alla stazione successiva, riprendo la bici? Che sono scemo?

Perché non prevedere uno stallo nei pressi della stazione di una linea e un altro nei pressi della stazione di altra linea, distanza che è mal servita dagli autobus? Lì si che avrebbe fatto comodo la bici. No, sarebbe stata una soluzione logica, non va bene, che figura ci facciamo poi?

Se invece voglio sfruttare la bicicletta per raggiungere i due stalli più lontani tra loro, i 30 minuti sono insufficienti. Non per un ciclista allenato (non parlo di un agonista, solo un normale pedalatore come me) ma per una persona che in bici ci va quasi mai, si.

E siccome il bike sharing è pensato soprattutto per loro, noi che già ci spostiamo in bici abbiamo la nostra, per rientrare nei tempi sei costretto alle tappe. Raggiungi la postazione più vicina, cambi bici e poi riparti, come i messaggeri a cavallo alle stazioni di posta.

Va bene, siamo nella fase della sperimentazione; testare serve proprio a mettere in luce cosa non funziona. Però partire da un approccio più logico sarebbe stato facile e meglio, o no?

Bastava chiedere a chi in bici si sposta già, sfruttare le esperienze presenti e non puntare solo all’ennesimo intervento spot in modo che qualcuno potesse gonfiare il petto a favore di telecamere.

A parte le due postazioni di cui ho parlato sopra, solo una terza potrebbe rivelarsi utile. Per il resto inutili doppioni.

La zona della città servita è quella che meno ha bisogno di decongestionare il traffico veicolare, semplicemente perché è quasi assente, visto che sono tratti completamente o parzialmente pedonalizzati.

Si potrebbe dire: ok, prendo la bici in prossimità della stazione della metro (sono distribuite quasi tutte in coincidenza con le stazioni), la uso per svolgere varie commissioni e poi riprendo la metro.

No, non puoi perché la bici non la puoi lasciare per strada, se te la rubano la ripaghi e poi non ti metti in coda all’ufficio pratiche bibliche con l’ansia che scadono i 30 minuti e ti sospendono l’account; e se resti fagocitato dalle scartoffie o disperso in qualche palazzo burocratico ti arrestano pure.

Ma siamo in fase sperimentale, torno zen.

Napoli non è, come qualcuno che questa città purtroppo la (non) amministra ritiene, solo il lungomare e piazza Plebiscito. Stavo anche qui per sbagliare verbo, volevo scrivere “pensa” invece di ritiene (ma pensa te…) ma l’ambivalenza avrebbe nuovamente tratto in inganno, presupponendo qualche forma, anche primitiva, di intelligenza. Alla faccia dello zen.

Questa città è un poco più estesa ed è collinare. Ma guarda che scoperta.

Il centro direzionale, che dirige nulla e non è al centro ma racchiude una quantità di uffici e luoghi di lavoro, tagliato fuori dal progetto. Ah, si, siamo in fase sperimentale. Ok, ma sperimentare dove i test sarebbero stati più probanti? No? Se lo dite voi.

La zona collinare manco esiste, proprio non è presa in considerazione. Ma perché, si saranno chiesti, qualcuno dal livello del mare sale in bici fino in collina? Sono matti?

No, vi rispondo io, non sono matti; e facilmente percorribile e se magari aveste pensato delle bici più adatte alla città che devono percorrere sobbalzando sulle buche, avreste reso tutto anche più semplice.

Invece le bici, dopo una prima serie che non si poteva manco guardare e destinata a spaccarsi dopo qualche minuto di pedalata su queste assurde strade, sono delle gradevoli e simpatiche biciclettine azzurre, decorate e con un bel portapacchi a cesto integrato, perfetto per la spesa. La borsa no, passano, te la scippano e via.

 

2245 Bike sharing Napoli

Però; pesano un botto e hanno un cambio Nexus a sette velocità (vado a memoria, controllerò meglio, spero non sia il vecchio a tre velocità). Col quale al massimo reggi lo strappetto non certo la salita. E allora si che dalla città di mare a quella di collina in bici non ci vai. Ciclisti si, scemi no. Mica puoi arrivare al lavoro una zuppa di sudore.

Una semplice, economica e facile tripla molto agile era così difficile pensarla? Prima di far partire il progetto e pagarlo, qualcuno ha girato la città in bici? Si è accorto non siamo a Ferrara o Amsterdam?

E meno male mi sto mantenendo zen.

Ma non ti accontenti mai, chiederete? No, a me le cose piacciono fatte bene, quelle “arronzate” non le sopporto.

Comunque, confesso di essere in ogni caso non contento né soddisfatto ma almeno speranzoso. E’ un passo, piccolo, insicuro, malfatto, migliorabile in quasi tutti gli aspetti. Ma è un passo.

Però, aggiungo (sennò col periodo appena scritto sembra che mi sono rammollito), l’idea fu della precedente amministrazione comunale e non di questa in carica. Che ha dato seguito, in malo modo come sempre, a un progetto iniziale che era migliore, così come hanno rovinato l’ottimo progetto iniziale della ciclabile trasformata nella attuale parodia.

Appena smette di piovere, pare che da qui a sette giorni la situazione non migliorerà (in strada c’è un tipo barbuto che raduna animali a coppie: devo preoccuparmi?), prometto di iscrivermi al servizio e testare sul campo. Con aggiornamenti ogni trenta minuti. e senza caffè sul litorale flegreo sennò sforo i tempi e mi arrestano.

 

 

COMMENTS

  • <cite class="fn">silvestrocafiero</cite>

    Fatti arrestare, gli fai un pippone così, e ti rilasciano “sulla parola”.
    Scherzo, è davvero piacevole leggerti, io ho usato il bike sharing a Bologna e non è così “militarizzato” la bici la prendi e la molli entro la sera, del resto se usi la bici non è che ci giri tutta la vita, oltre al fatto che se non la riposi sei un ladro imbecille. Io la usavo per andare dalla stazione fino al luogo di lavoro.
    La bici però fa cagare, perchè è di quelle che se non pedali si ferma (non sono un ciclista chiedo immediatamente scusa per la mia ignoranza in materia) non ho idea di come si chiamino ma giuro che sono una palla mostruosa, Bologna è in piano ma qualche discesina si trova e dover pedalare di continuo è noioso, forse è la mia non abitudine a questo tipo di bicicletta (chiedo a voi lumi a riguardo) a farmi dare un giudizio negativo, ma dopo un paio di volte ho ripreso il mio catafalco! (sebbene arrugginito e appesantito da due sistemi di antifurto: un “bloster” e la catena che usavo per la moto,tu Fabio dovresti ricordarla e capire cosa mi portavo in giro!)

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Ciao Silvi, se mi arrestano e parto con il pippone non mi rilasciano: mi giustiziano sul posto…

      Le bici che di ci tu sono le fisse, anche se mi sembra una scelta ben strana. Ma tanto abbiamo capito che questi progetti appaiono slegati dalle reali necessità ed esigenze, ed è questo che a me fa incacchiare.

      Bene il bike sharing, ma perché farlo male? A Napoli, a Bologna o altrove. Forse perché l’appalto deve averlo quella ditta, indipendentemente da cosa propone? Sia la domanda che l’eventuale risposta mi espongono al rischio, stavolta reale, della querela…

      Fabio

      • <cite class="fn">clau</cite>

        Anche qui a Piacenza nel 2013 (se non erro) è partito qualche cosa di simile. Non conosco i numeri d’uso e non penso di essere la persona adatta a valutare il fenomeno. Per me la bici è una scelta scontata e dovrebbe esserlo per i più (come invece avviene per l’auto).

        Ho notato – con disappunto – che tutte le stazioni piacentine preposte al ritiro/restituzione del mezzo sono rigorosamente scoperte, liberamente esposte alla pioggia, neve, vento e sole. Una scelta perdente sul medio/lungo periodo.

        Il vincolo dei 30 minuti napoletano – senza la possibilità di fermate intermedie per sbrigare piccole commissioni – mi pare che privi l’esperienza “bicicletta” dei suoi principali vantaggi.

        • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

          Ciao Claudio, non ho familiarità con Piacenza ma comunque si presenta decisamente più pedalabile di Napoli; quindi quella che pure per me è una scelta scontata è resa difficile per tanti altri a causa proprio del profilo collinare della città. Tenendo sempre ben presente che qui non parliamo di uscite in bici, dove ben vengano le salite altrimenti che gusto ci sarebbe, ma di spostamenti quotidiani, abbigliati in modo “civile” e con la necessità di non arrivare né sporchi né sudati.

          L’idea del bike sharing è pienamente condivisibile, infatti la condivido; come l’idea delle ciclabile. Il problema è che le buone idee in questa città una volta che questa amministrazione le traduce in pratica diventano boiate colossali.

          A parte le postazioni all’aperto (il fatto siano così anche altrove non significa sia una cosa ben fatta) la loro distribuzione è mal pensata. Anzi, non è proprio pensata, stanno lì solo per far vedere, uno spot. Come quando spazzano la via centrale e lasciano le laterali coi cumuli di immondizia, tanto conta solo pulire il salotto buono.

          E le bici sono sbagliate; non l’ho ancora provata, la proverò. Ma qualcosa di roba a pedali la capisco, già così si nota la loro inadeguatezza alla nostra città.
          Malgrado il richiamo che mi beccai dal grande pedalatore di MTB, io che in questa città ci campo e ci giro in bici (ergo, parlo per esperienza diretta) ti assicuro che una mtb da 26, con tripla agile e pignoni a 7v agili anche loro è la bicicletta che serve. Costerebbe poco, senza forcella ammortizzata per risparmiare, la adatti con facilità al commuting urbano (mazzete come sono bravo) aggiungi un antifurto meccanico integrato (il mercato ne è pieno) allunghi i tempi di fruizione e piazzi in modo sensato le postazioni.

          Non è difficile, basta prendere due tizi a fargli girare la città sui pedali per tre giorni, così subito è chiaro cosa serve, come e dove.

          Sarebbe una cosa ben fatta, ma tutte le cose ben fatte sono aborrite dal reggente cittadino e dai servi sciocchi che lo accompagnano.

          Fabio

  • <cite class="fn">valentino</cite>

    ciao Fabio,
    forse conoscerai l’enorme diffusione che c’è stata a Parigi delle biciclette, che sono diventate un “vero” strumento di mobilità urbana, in aggiunta (e solo in parte in alternativa) al già efficiente sistema di trasporto pubblico della città. Il sistema funziona grazie all’enorme diffusione e al diverso utilizzo della sede stradale (oltretutto con pochissime piste ciclabili ma con moltissimi divieti di sosta), cosa che in Italia non esiste (forse a Piacenza o Bologna SI, a Roma e Napoli certamente NO). Questo per dire che se, prioritariamente, non si chiarisce in pratica e non solo in teoria che la strada è di TUTTI (bici e auto) qualsiasi progetto di incremento dell’uso delle biciclette è destinato a sfumare. Dal punto di vista tecnico a Parigi le biciclette sono robuste, con ruote da 26″ e pneumatici antiforatura, freni e cambio nel mozzo, fari, e un comodo cestello anteriore. Sono anche abbastanza piacevoli da usare. Si vedono spesso però operai impegnati nella manutenzione.
    La grande diffusione (ci saranno centinaia di stazioni di bike-sharing) fa si che sia possibile effettivamente prendere in consegna il mezzo e lasciarlo entro il termine fissato (mi sembra 1 ora, 30′ sono in effetti troppo pochi).
    Qui a Roma un bike sharing era partito anni fa e poi è naufragato (si sono rubati tutte le bici, credo…).

    tanto per precisare:

    20.000 bici e 1.800 stazioni (una ogni 300 metri). Se non funziona così………

    valentino

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Ciao Valentino, per semplice comodità di impaginazione ho riunito i due tuoi commenti.
      Che condivido in pieno.
      Infatti qui il problema non è essere pro o contro il bike sharing, e se anche fosse io sono tra i sostenitori.
      Il problema è che è il solito, ennesimo, implacabile intervento spot malfatto: come tutto ciò in cui si diletta l’attuale amministrazione della mia città.
      D’accordo che siamo ancora in fase sperimentale, ma già la sperimentazione è malfatta.
      E i protocolli di ricerca ci insegnano che un esperimento gestito male partorirà pessimi risultati.
      A nulla valgono le classiche difese dei servi sciocchi “Si, però a Napoli la bici non l’avete mai usata, grazie a noi si”.
      Anzitutto perché non è vero, e poi questo non giustifica far male una cosa.
      A me, in ogni dove, piacciono le cose fatte bene; questo bike sharing in salsa vesuviana parte male: temo arriverà peggio.

      Fabio

  • <cite class="fn">Paolo V.</cite>

    Sono stato recentemente a Napoli e mi sono fermato un po’ incuriosito a guardare quelle postazioni. In effetti mi sono sembrate mal disposte, e anche le bici inadatte. Comunque anche nella mia città (Imola in provincia di Bologna) hanno da pochi mesi inaugurato il nuovo sistema di bike sharing sul quale ci sarebbe molto da dire! Ma perché prima di fare certe cose non si prende spunto da dove le hanno già fatte? Due anni fa sono stato a Londra e là hanno un sistema che funziona bene, le stazioni sono disposte con intelligenza ma soprattutto lo possono usare tutti, anche chi non è abbonato, e io come turista l’ho apprezzato molto. Infatti è molto più bello poter vedere la città durante gli spostamenti, invece che chiusi nella metropolitana, per quanto quella londinese sia efficientissima. Ecco loro lo hanno copiato da Montreal. E a quanto pare hanno fatto bene…

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Ciao Paolo, la tua domanda è giusta, andrebbe solo completata con un “…dove le hanno già fatte bene?”.
      In mezzo mondo il bike sharing è realtà consolidata ed efficiente, comoda e utile.
      Qui e in buona parte del Bel Paese no.
      Perché? Ho una mia risposta, ma andremmo troppo oltre i temi di questo blog.
      So solo che qualunque pubblico appalto che costa 100 alla fine deve costare 10, gli altri 90 foraggiano. E ci ritroviamo così.

      Fabio

  • <cite class="fn">calcagnolibero</cite>

    I progetti di Bike Sharing prevedono sempre o bici senza rapporti o bici con cambio interno.
    Il motivo principale é la facilitá di manutenzione
    Queste bici sono a disposizione di tutti, immaginati uno che non ha mai usato il cambio cosa combinerebbe a provare a cambiare rapporto in salita.
    Catene rotte e bici abbandonate dopo pochi giorni.
    Altra cosa che li accomuna é un limite temporale breve fra il ritiro e la riconsegna per evitare che per esempio uno prenda la bici in stazione, ci vada in ufficio e la riconsegni in stazione alla sera impedendo la fruizione del servizio ad altri per 8 ore.
    Il BS puó funzionare in cittá piatte, a Napoli e a Genova ( dove vivo io) la vedo dura.

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Ciao, sulla necessità di non garantire 8 ore sono d’accordo; a quel punto la bici la compri, altrimenti saresti uno scroccone.
      I 30 minuti restano però un limite troppo basso, andrebbe almeno raddoppiato.

      Per quanto riguarda le bici è vero, il modello è quasi standardizzato.
      Non le nostre città però, ed è questo uno dei punti chiave del successo o meno del bike sharing nel nostro Paese. Non basta offrire una bici, bisogna offrire una bici che si adatta all’uso che il tipo di città impone.
      Perché, e l’argomento mi sta a cuore, ho notato che si raffronta la bici all’uso ma non a dove sarà usata. Per cui una city bike è una bici da città. No, non è così semplice.
      Da tempo voglio scrivere un articolo su quest’aspetto, ma tra una cosa e l’altra salta sempre. Ma approfondirò.

      Fabio

      • <cite class="fn">Giovanni Calcagno</cite>

        Ciao.
        Io ho esperienza con il BS di Melbourne, Australia: puoi tenere la bici per 30 minuti dopodiché paghi per i minuti in più.
        Funziona molto bene perché ci sono circa 50 stazioni in centro, molto vicine una all’altra e le bici sono sempre pulite e ben mantenute.
        In Australia il casco è obbligatorio e se aderisci al progetto di BS in una delle stazioni automatizzate ne puoi ritirare uno gratis presso i negozi Seven Eleven.
        Melbourne è piatta e l’amministrazione pubblica ha iniziato da decenni a incentivare il trasporto via bici a scapito delle auto. Parcheggiare l’auto in centro per un giorno costa anche 100 $ mentre esistono depositi pubblici gratuiti dove puoi parcheggiare la bici , fare leggeri interventi di manutenzione e farti la doccia (i due problemi maggiori per chi vuole andare al lavoro o a fare shopping in bici sono i furti e la mancanza di locali dove farsi la doccia e cambiarsi)Il piano regolatore comunale obbliga chi costruisce in centro a destinare una percentuale di volume a locali dove depositare le biciclette.
        Risultato in centro girano più bici che auto.
        Io credo che città dall’orografia come la tua e la mia potranno vedere la gente spostarsi in bici solo grazie alla diffusione delle elettriche ma solo se i comuni investiranno nella costruzione di strutture sicure dove parcheggiarle.

        • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

          Già, il profilo orografico è il primo parametro di cui tener conto, concordo.
          Ma anche il fatto che le città europee non sono giovani come quelle del nuovo e nuovissimo mondo.
          Molte metropoli continentali hanno oltre 2000 anni di sviluppo urbanistico con cui fare i conti, trovare spazi è difficile. Oltre al fatto che se trovi un buco libero in centro (per esempio a Roma) dove costruire, e non lo trovi, costerebbe talmente tanto che figurati se uno pensa a destinare una spazio alle bici invece di sfruttarlo per lucrativi appartamenti.
          Tornando al tipo di bici, hai ragione: la svolta potrebbe essere il ricorso a bici a pedalata assistita. Che io da ciclista puro non amo, ma qui parliamo di mobilità sostenibile non di passione e la bici la dobbiamo intendere come mezzo di trasporto, concetto che è mi è lontano ma di cui riconosco la validità.
          Il problema diventano i costi, per le infrastrutture, per le bici e la loro manutenzione. E qui penso sarà difficile risolvere.

          Fabio

          • <cite class="fn">calcagnolibero</cite>

            Con molto ritardo vedo la tua risposta (un anno!).
            Non condivido la tua avversione per le elettriche. Io faccio 12.000/14.000 km l’anno in bici fra viaggi, corsa e mtb senza assistenza elettrica.
            Puoi andare in Tribunale con l’elettrica arrivando bello pulito e asciutto e d’estate (australe ovviamente) fare la Carretera Austral con 20 kg di bagaglio senza motore elettrico o correre ogni Domenica una Granfondo.
            Il primo obbiettivo del bike sharing è ridurre l’inquinamento tramite la riduzione del traffico con veicoli ad emissioni nocive.
            Pur avendo Il bike sharing come risultato accidentale il miglioramento delle condizioni di salute dei fruitori grazie ad un certo esercizio fisico, non è un mezzo per trasformare tutti in atleti.

            • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

              Ciao, non mi sembra di aver parlato di avversione. Ho scritto “la svolta potrebbe essere il ricorso a bici a pedalata assistita. Che io da ciclista puro non amo, ma qui parliamo di mobilità sostenibile non di passione e la bici la dobbiamo intendere come mezzo di trasporto, concetto che è mi è lontano ma di cui riconosco la validità“.
              Il fatto io preferisca sudare muovendomi solo con le mie gambe non significa che pretendo lo facciano tutti.

              E non mi sembra di aver scritto da nessuna parte che intendo il bike sharing come strumento per trasformare tutti in atleti. Anzi, contesto il tipo di bici usato proprio perché il bike sharing non è rivolto a ciclisti praticanti, che solitamente hanno la loro e saltuariamente possono trovare comoda la bici condivisa.

              Ognuno è libero di non condividere o contestare ciò che dico e mai cancellerei un messaggio in tal senso: ma almeno che si faccia riferimento a qualcosa che ho realmente scritto, senza inventare cose che non ho mai detto.

              Per la cronaca: il bike sharing ha chiuso qui da noi, come era ovvio perché era solo un esperimento ma soprattutto solo uno spot elettorale.
              Dicono riprenderà, affidato all’azienda di trasporto pubblico: quella che tiene in deposito il 70% degli autobus perché privi di manutenzione.

              Fabio

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